Food Beverage

Restaurant Revenue: senza il marketing è nullo

In questo nuovo articolo propongo delle ulteriori riflessioni sul già affrontato tema del restaurant revenue che, a quanto risulta dalle fonti di settore, pare essersi un po’ “sgonfiato” nel catturare l’interesse degli addetti ai lavori.

Inoltre, cercherò di spiegare perché, secondo me, senza una doverosa attenzione al marketing della ristorazione, il revenue rischia di essere, quale che sia il tipo di indice di misurazione scelto, un termine privo di senso.

Perché il Revenue nella ristorazione non sfonda in Italia

A mio parere, ciò è la conseguenza di due fattori:

a) una parte consistente della ristorazione classica (ristoranti indifferenziati e soprattutto di provincia) si confronta con la perdurante crisi dei consumi ma non riesce ancora a trovare il coraggio di cambiare pelle e promuovere un nuovo modello di offerta più in sintonia con le esigenze alimentari della popolazione (qualità, semplicità e genuinità), pertanto non si sente più sollecitata a credere a soluzioni di natura meramente algebrica;

b) tanti addetti ai lavori o sedicenti tali, hanno cominciato a comprendere la difficoltà, se non addirittura l’inutilità, di applicare metodologie di ispirazione statunitense ad attività con caratteristiche molto diverse come sono gran parte dei ristoranti italiani che, salvo poche eccezioni di modelli tipicamente industriali di alcuni gruppi che si stanno affermando, restano quasi tutte a gestione familiare o poco più.

Oltre a questo, stiamo assistendo ad un posizionamento di nuove e svariate formule che attecchiscono in centri commerciali, stazioni ferroviarie e aree commerciali e centrali delle grandi e medie città (toasterie, patatinerie, polpetterie, neoburgherie, ecc.) che sembrano essere più orientate a operare a metà strada tra una formula di generica qualità (panini e pizza a lievitazione naturale, formaggi di caseifici “artigianali”, carni da allevamenti “naturali”) e un modello di servizio veloce, per le quali è difficile capire quale possa essere, al momento, il loro futuro e pertanto valutare già oggi se la loro performance esprime validi elementi di misurazione, mi sembra davvero azzardato.

Mentalità da cambiare e tabù da sfatare

Viene da porre una domanda: il revenue per la ristorazione è stato solamente una bolla (o balla?) che abbiamo coltivato giusto per poter scrivere articoli rappresentativi più di opinioni personali, piuttosto che informare e formare gli operatori con efficaci modelli interpretativi dell’andamento economico della gestione del ristorante?

Da un punto di vista tecnico, in sé per sé il concetto non è sbagliato: sapere come misurare la redditività del ristorante è cosa buona e utile, è il meccanismo proposto che invece non si presta a funzionare bene nel sistema della ristorazione italiana.

A questo proposito, in uno dei miei precedenti articoli sul tema, proponevo come più praticabile (e per me anche più versatile come strumento) l’indice di misurazione prezzo/qualità che fornisce molte più utili informazioni sul profilo della clientela e il suo comportamento di acquisto rispetto alla proposta commerciale dello specifico locale.

E in tutto questo, come la raccontiamo la favola del revenue ad un universo quale la ristorazione alberghiera che nel nostro Paese sconta (tranne poche e ovvie eccezioni) il tabù della differente percezione che la vuole meno attraente di quella indipendente e familiare?

Chi non è soddisfatto dei coperti che fa, è preso da altri problemi e non ha la sufficiente lucidità per appassionarsi a temi che finiscono per sembrare stravaganti, quali l’applicazione di mere formule algebriche che non possono risultare, di per sé, alcun toccasana.

Ho l’impressione, perciò, che la tematica del revenue per la ristorazione sia ormai più un esercizio dialettico di scuola piuttosto che una sedimentata pratica operativa.

L’arma per cambiare passo: il marketing della ristorazione

Di cosa c’è bisogno allora, per rivitalizzare davvero la gestione economica di un ristorante? Per tentare di rispondere efficacemente a questo interrogativo, al netto della disponibilità discrezionale di reddito e di tempo dei clienti (due fattori spesso sottovalutati), molti ristoratori dovrebbero ricominciare a considerare l’importanza dei fondamentali del marketing della ristorazione.

Di per sé, nulla è sinonimo di garanzia di successo, ma se la situazione di crisi è perdurante e nel frattempo mutano rapidamente pure gli stili di vita delle persone, tanto vale provare ripartendo da una analisi dei fondamentali di questa filosofia (non è una scienza) del servizio.

Da alcuni anni ormai, un bel po’ in verità, ho notato una certa indifferenza per i principi del marketing da parte di molti operatori. Negli ultimi mesi, non avendo più scritto nuovi articoli, ho in compenso viaggiato molto e in questi percorsi ho avuto occasione di intrattenermi con molti ristoratori che mi hanno confermato la sensazione che da tempo avevo maturato: il marketing non interessa perché è percepito come teoria, non come valido strumento operativo.

Il pensiero unico che tutto è solamente una questione di “revenue” ha fatto molti proseliti e per convincere gli operatori a tornare ai fondamentali, sarà dura per ancora un bel po’. Infatti, per quanto un operatore possa essere addentro e attento alle tematiche del marketing, diversi fattori esterni e indipendenti dalla sua volontà e controllo, possono di fatto ridurre la bontà dei suoi sforzi e influenzare negativamente i risultati della gestione.

Vecchi e nuovi ostacoli da abbattere

Questi fattori hanno a che vedere con i cambiamenti degli stili di vita dei consumatori, con il livello della concorrenza e, in ultimo, con le scelte di carattere amministrativo della politica.

Molti ricorderanno come la discussa legge sulla liberalizzazione di alcuni anni fa ha di fatto permesso a chiunque di improvvisarsi ristoratore e non sempre questi risultati hanno avuto esiti felici, diventando però un fattore di destabilizzazione del mercato.

Quale che sia però l’interesse o meno a praticare e seguire politiche di marketing, un punto centrale del tema che bisogna sempre tenere presente è che chi fa ristorazione non può permettersi di “adagiarsi sugli allori” e continuare a fare sempre le stesse cose come, ad esempio, proporre gli stessi prodotti, la stessa formula di servizio, la stessa politica di accoglienza.

Un tale approccio, si risolve sempre in un declino dell’affluenza, dell’incasso, del profitto e riguarda tutti gli operatori tranne pochissime e fortunatissime eccezioni che non appartengono però alla regola.

Marketing della ristorazione, chi era costui?

Per cominciare, è bene fare un po’ di scuola e spiegare cos’è il marketing della ristorazione. Una definizione classica (P. Kotler) lo spiega come quella attività che cerca di realizzare il profitto attraverso la soddisfazione del cliente, e fin qui nulla da eccepire.

Ma quale o quali aspetti del marketing sono necessari al ristoratore perché la sua azienda sia davvero profittevole e il cliente, allo stesso tempo, soddisfatto?

La situazione macroeconomica attuale non sembra essere delle più favorevoli per stimolare una pacata e obbiettiva riflessione al riguardo e forse proprio per questa ragione tendiamo più a rincorrere la chimera del “profitto a tutti i costi” piuttosto che il “profitto attraverso i giusti costi”, che dovrebbe essere l’approccio più corretto.

La discussione, se sul piano puramente dialettico sembra essere di tipo filosofico, su quello operativo è in realtà molto più pratica essendo le attività di marketing non elementi astratti ma concreti, in quanto si sintetizzano in ciò che comunemente si definisce marketing mix.

Questo, che rappresenta l’insieme delle cosiddette leve del marketing, altro non è che un formidabile strumento a disposizione del ristoratore per fare bene il proprio lavoro nell’interesse dei due elementi sopra citati, il cliente e il profitto aziendale.

Ovviamente, per poterlo apprezzare al meglio, bisogna fare anche uno sforzo di astrazione dalla personale realtà immersa nel proprio quotidiano e capire come, attraverso un’azione di reimpostazione del business, anche le situazioni meno favorite possono riqualificarsi attraverso il mix e puntare a dare un senso al proprio fare.

Elementi chiave per il successo di un’attività ristorativa

I vari elementi del mix sono rappresentati dal prodotto, dal luogo dove si svolge l’attività, dal personale, dal prezzo, dall’attività comunicazionale e relazionale esercitata e dalle politiche promo pubblicitarie perseguite.

A questi elementi, che rappresentano l’ossatura del mix classico, possiamo aggiungere una più ampia versione del mix stesso, più contemporanea e adatta alla ristorazione e che combina gli aspetti “tangibili” del mix classico (il prodotto, il luogo, il numero di personale in servizio) a quelli “intangibili” del nuovo modello come l’atmosfera del posto (cioè il gioco di luci, di suoni, di colori presenti), il regime di prezzi praticato (che influisce sulla percezione di valore del cliente), il ruolo del personale nelle capacità comunicazionali, la comunicazione efficace esercitata soprattutto attraverso i nuovi social media e, in definitiva, la sensazione per il cliente di essere nel posto giusto nel momento giusto (per lui).

Tutti questi elementi insieme considerati hanno la caratteristica di influenzarsi vicendevolmente, cioè la forza di uno non assolve l’eventuale debolezza dell’altro ovvero, la debolezza di uno pesa sfavorevolmente su tutti quanti gli altri, con la ovvia ricaduta negativa del tutto sulla percezione complessiva di valore che ne ha il cliente.

Perché, piaccia o no, è solo la presenza del cliente e la sua migliore capacità di spesa che genera profitto (revenue) ma perché il cliente frequenti un ristorante (o locali di ristorazione a vario titolo), egli deve riscontrare delle condizioni di valore che derivano dalla giusta ed armonica combinazione di tutto il mix.

L’elemento cardine: il prodotto

Il primo elemento di maggiore interesse del mix è il prodotto. Per prodotto si intende ciò che si produce, nelle sue varie forme e formulazioni, ma un tratto specifico del suo valore è legato alle sue caratteristiche di partenza: fresco o surgelato, pronto da servire o da preparare, di derivazione industriale o artigianale, locale (stesso luogo del ristorante) o regionale/nazionale.

È molto importante che il prodotto esprima una idea di servizio e che questa venga correttamente comunicata attraverso il menu o quale che sia la formula di vendita adottata, in tutti i casi bisogna mettere in condizione il cliente di “capire” cosa gli si sta proponendo in termini di qualità e valore.

Come quasi tutti gli altri elementi del mix, anche il prodotto è costituito da una componente tangibile e una intangibile.

La prima è rappresentata da elementi facilmente identificabili e comunicabili come la porzione servita (quantità), la provenienza del prodotto (origine), le sue caratteristiche intrinseche (stagionatura, freschezza, maturazione, altro), la tecnica di preparazione che ne influenza gli aspetti degustativi (consistenza, sapore, sapidità, profumo), lo stile della presentazione (aspetti di composizione e cromatici) e del servizio (prodotto servito alla giusta temperatura).

La seconda, è più una conseguenza della prima e esprime quasi esclusivamente il livello di apprezzamento del cliente dopo che sono state soddisfatte tutte le condizioni della parte tangibile del prodotto.

Per esperienza diretta, devo dire che in molti locali che mi è capitato di frequentare, alcuni degli elementi più importanti sopra descritti sono poco o nulla attenzionati da parte degli operatori e di solito, la loro assenza è indice quanto meno di scarsità di controllo se non addirittura di disinteresse per il cliente.

Il rapporto qualità/prezzo

Non è una novità se nelle mie tecniche di approccio alla consulenza uno dei primi elementi che prendo in considerazione per valutare l’efficienza operativa del locale è proprio l’indice di misurazione prezzo/qualità dal quale parte poi tutta l’analisi per il riposizionamento operativo.

Un’altra più empirica osservazione però è quella che faccio quando considero il numero dei coperti “sic et simpliciter”, cioè così come sono e che spiegano molto bene l’idea che hanno i potenziali clienti del locale visto dall’esterno.

Nel prossimo articolo vedremo come gli altri elementi del mix interagiscono con il prodotto e soprattutto che ruolo gioca la percezione di valore che ricava il cliente e come questa possa influenzare positivamente o no l’affluenza del locale. (fine prima parte)

Commenta l’articolo e partecipa alla discussione