Hospitality Management

Come implementare la meritocrazia al ricevimento di un hotel

Come implementare la meritocrazia al ricevimento di un hotel

Il Paradosso della Meritocrazia: quando il Successo non sempre rispecchia il Merito

Sgombriamo subito il campo: il nostro valore reale non dipende dall’approvazione altrui. Questo deve essere molto chiaro a tutti, altrimenti entriamo in un meccanismo perverso, per cui se non ho l’approvazione del capo o della proprietà, allora valgo poco.

Si può essere tranquillamente i migliori del settore e tuttavia non essere valorizzati nel pieno da quella determinata azienda. E’ normale, capita e capiterà. Ma tu resti sempre valido. Anzi forse anche di più.

Fatta questa doverosa premessa, entriamo nel vivo di questo tema.

Nel contesto dinamico dell’ambiente lavorativo, l’idea di meritocrazia rappresenta un ideale a cui molti aspirano. Tuttavia, la realtà spesso ci mostra che il successo professionale non è sempre allineato con il merito individuale, creando un paradosso intrigante che si manifesta anche in ambito alberghiero e nello specifico sia nel front office che nel back office.

Diamoci la verità: quanti di noi hanno visto realmente riconosciute le proprie capacità sul posto di lavoro? Oppure le capacità di altri validi colleghi? O se vogliamo invertire l’angolo di osservazione: quante persone ai posti di comando meriterebbero di essere lì? Quante volte abbiamo visto room division manager parlare a stento un inglese maccheronico e addetti al front maneggiare con disinvoltura inglese e altre due lingue come fossero madrelingua?

E’ una questione antica e comune in molti posti di lavoro. Il settore alberghiero e del reparto ricevimento non si sottrae.

Personalmente ho visto moltissime persone valide restare ferme a ruoli importanti ma non decisionali. E viceversa ho visto spesso persone inadatte nei ruoli decisivi. Nel tempo ho capito che non era una mia sola esperienza e ho cercato di capire il perché e di abbozzarne una via d’uscita.

Senza la pretesa dell’esaustività, ben sapendo che ogni realtà è un mondo a sè stante, provo a fare una breve analisi, sperando di dare qualche spunto di riflessione e qualche strumento pratico.

Front Office: visibilità e poca competenza

Partiamo dal front office. Nel front office, dove la visibilità è elevata, ci si aspetterebbe che il merito sia più facilmente riconosciuto e ricompensato. Ma la realtà è più sfaccettata:

1. Quando conta solo la visibilità:

In alcune organizzazioni, la visibilità personale può superare il merito effettivo. Chi è più abile a farsi notare potrebbe ottenere più opportunità, a prescindere dalle competenze effettive. A volte possono bastare due o tre recensioni positive col proprio nome, per dare l’impressione di un alto livello professionale.

Dimenticandoci che oltre a questo aspetto ve ne sono di altri, tecnici, altrettanto importanti per il corretto funzionamento del reparto e del successo dell’azienda hotel. Quindi non è raro vedere personale più smart essere promosso a Front office manager, a scapito di personale con più competenze tecniche, più meticoloso e attento ma magari con minor spinta estroversa. Qui in pratica il lavoro del front office manager rischia di ricadere anche sui soli front office agent che lavorano bene e duro ma che vedono poco riconosciuti i loro meriti.

2. Quando conta solo la priorità del momento:

I successi momentanei e le abilità adattative possono essere premiati più velocemente rispetto a un costante impegno e competenza a lungo termine.

Mi è capitato di vedere persone con scarse competenze avanzare soltanto perché hanno dato spazio e disponibilità a quelle che erano le priorità del direttore o del capo servizio del tempo. E’ normale e anche giusto, se non si hanno competenze adeguate, rendersi disponibili a mansioni e ruoli che richiedono un impegno in più e che magari vedono refrattari gli altri componenti del team. Tuttavia questo non dovrebbe significare automaticamente uno scatto in avanti a discapito di anzianità, competenze e ruoli.

3. Quando “lui/lei ha fatto questo e quello”

Eh si, esiste anche questa “malattia” per la quale è più conveniente far risaltare gli errori degli altri che i propri. Uno vecchia storia, con la quale si pone l’accento su difficoltà anche reali altrui ma con il solo scopo di allontanare l’attenzione dai propri punti deboli.

Personalmente ne ho viste tante e non le ho mai digerite. Anche perché il rischio principale è quello di etichettare le persone ed è una delle cose più stupide ed inutili su un posto di lavoro. Tuttavia questa strategia “paga”. Se l’altro è quello che sbaglia sempre o spesso, quello buono a cui affidare incarichi migliori, sono io.

4. Quando io ordino e voi fate

Questo è il caso tipico che incancrenisce ruoli e situazioni. Soprattutto chi ha ruoli o anche solo mansioni più di responsabilità, si sente autorizzato a indicare una strada ma non a dare l’esempio (dove e quando servirebbe) per poterla percorrere nel giusto modo.

Esempio? Quando avete molti check-in e il capo ricevimento magari ha uno spezzato e decide di fare lo stesso lo spezzato anche se sa che il grosso del gruppo o degli arrivi, verrà proprio quando lui è a casa. Il risultato sarà che pochi addetti si faranno il “cuore” grande e probabilmente andrà anche tutto bene. Ma il merito di non aver avuto problemi cadrà per “miracolo” sul responsabile del reparto e basta.

Eh si, perché non sempre si dividono vittorie e sconfitte. Sovente le sconfitte sono dei “ragazzi della portineria”. Mentre le vittorie sono “di chi ha organizzato e formato il tutto”. Ci piace vincere facile.

Back Office: competenza tecnica e mancanza di visibilità

Nel back office, dove la competenza tecnica spesso primeggia sulla visibilità, ci si aspetterebbe un riconoscimento più diretto del merito. Tuttavia, anche qui si scontrano con sfide:

1. Mancanza di visibilità:

La mancanza di interazioni dirette con i clienti può limitare la visibilità del lavoro svolto, anche se cruciale per il funzionamento dell’azienda. Anche se molti pensano che chi lavora al back office svolga un lavoro superiore a chi sta al front (ma quando mai?), il lavoro del back office viene a volte sottovalutato da proprietà, direttori e capi ricevimento.

Un lavoro di concierge fatto tutto attraverso le email o la gestione di una prenotazione via email, comporta un’attenzione e un impiego di energie notevole. Una sorpresa fatta trovare in camera all’arrivo ha un lavoro dietro immenso, che spesso non viene riconosciuto dall’ospite al diretto interessato.

Capita infatti che i complimenti e le recensioni positive le becchi il portiere di turno mentre il nome di chi ha risposto alla telefonata, raccolto l’email e gestito tutto, sia dimenticato.

2. Difficoltà nel dimostrare le competenze:

Quanto sopra esposto comporta proprio questo e cioè che le competenze tecniche, se non sono facilmente dimostrabili, possono essere sottovalutate. La mancanza di feedback diretto dai clienti può rendere difficile evidenziare il valore del lavoro svolto.

Tuttavia il lavoro di back office comporta alcune mansioni tra cui: La corretta gestione di un PMS. La gestione di prezzi in alcuni casi e il relativo incasso. La capacità di gestire situazioni di overbooking. La capacità di gestione di malfunzionamento del channel manager. la gestione di lamentele da parte di alcune agenzie; Contestazione di alcuni pagamenti; Il controllo amministrativo di conti e la gestione dei sospesi; Giusto per fare qualche esempio di ordinaria amministrazione.

Tutto questo tuttavia non sempre viene notato e tenuto in considerazione da proprietà e direttori o capi ricevimento, e si rischia di fare un gran lavoro “sporco” e utilissimo per l’azienda e non vederlo pienamente riconosciuto con stipendi e ruoli adeguati.

3. Resistenza al cambiamento:

L’ambiente operativo del back office potrebbe essere più resistente al cambiamento, premiando la stabilità ma ostacolando la promozione di talenti innovativi.

Se ogni cambiamento è sfidante da gestire, lo è certamente per il back office. Ogni procedura infatti è stata pensata per scopi precisi e cambiarne alcuni passaggi può creare dei disagi iniziali e delle normali resistenze. Tutto questo – in un ambiente che magari sta provando a cambiare delle cose – può penalizzare le capacità reali di chi vi lavora.

Se il merito non genera la carriera

Quanto finora analizzati, possono essere gli scenari più comuni. Scenari che creano sicuramente frustrazione in chi li subisce e un ambiente poco stimolante. A chi piace lavorare per la gloria degli altri con scarso riconoscimento per sé?

Cosa fare dunque?

Il mio primo consiglio, che è poi quello che tento di fare anche io, è quello di non piangersi addosso.

Prendere coscienza della situazione è il miglior punto di partenza. Ma questo da solo non basta. A questa presa di coscienza e bene far seguire alcune azioni. Lamentarsi soltanto significa fare il gioco poco meritocratico.

Ma soprattutto agire significa prendere una posizione molto chiara: io sono responsabile di quanto accade a me e intorno a me. La meritocrazia non sono gli altri o un sistema di valutazione. La meritocrazia siamo noi tutti. E se le cose non vanno come devono andare, lavarsene le mani non agevola il cambiamento ma incancrenisce il sistema.

Levare le ostruzioni: equilibrio tra competenze e visibilità

Partiamo dal sano presupposto che ci sono cose che non possiamo controllare e cose che sono sotto il nostro controllo e altre che possiamo solo gestire.

Se ci troviamo a lavorare in ambienti di lavoro dove la meritocrazia e piuttosto scarsa, ci troviamo di fronte ad una situazione che possiamo gestire agendo su qualcosa che possiamo controllare.

La cosa migliore che si può fare è quella di diventare dei buoni narratori delle proprie competenze e capacità. Questa è una cosa sotto il nostro diretto controllo.

Si, resto convinto che se degli incompetenti sono stati capaci di raggiungere certi ruoli è principalmente perché hanno saputo narrare meglio di altri, delle competenze che non hanno.

E allora perché non narrare, far notare, decantare, mostrare quello che invece noi sappiamo davvero fare e che facciamo? Forse non cambierà le cose subito o in quel posto specifico di lavoro, ma senza ombra di dubbio smuoverà le acque. Sarà inoltre, un ottimo allenamento per quello futuro. E comunque sicuramente ci saranno più opportunità che le cose cambino.

Una bella intenzione o una bella idea, resta tale se non hai le parole per raccontarla. Per questo insisto tanto nell’uso corretto, giusto e saggio delle nostre parole. “Siamo storie che camminano” ma se stiamo zitti siamo solo persone che si muovono in silenzio. Allora mano a nuovi modi di raccontarsi e rapportarsi al proprio lavoro. Se siamo così bravi a vendere una camera o un’escursione, perché non dovremmo esserlo altrettanto nell’illuminare il nostro livello professionale?

Gentili e rispettosi di sé

Non si tratta di andare contro le persone o di iniziare faide interne. Questo è quanto di più controproducente possa esistere. Si tratta solamente di splendere e di continuarlo a farlo ogni volta che si può. Le tenebre non vanno combattute. Basta solo splendere affinché esse si disperdano. In sostanza si tratta di fare il proprio lavoro al meglio possibile come sempre e di iniziare a “raccontarlo” anche meglio.

Non si tratta di iniziare ad auto-elogiarsi o vantarsi. Questo sarebbe ridicolo. Si tratta di far sentire con intelligenza la propria voce. Di fare osservazioni che magari prima tenevamo per noi e motivarle sempre per il bene di tutto il reparto e dell’hotel. Diventare più protagonisti del nostro lavoro. Prima o poi l’occasione per farsi notare non mancherà.

E’ una questione di responsabilità, verso noi stessi e verso gli altri colleghi attuali e futuri. La responsabilità personale diventa la chiave per aprire la porta a un nuovo giorno, in cui le relazioni umane  sono caratterizzate dalla comprensione, dal rispetto e dalla profondità.

Si tratta di fare questa pratica di consapevolezza su di noi e poi di riflesso si tratta di educare gli altri. Non stare fermi. Perché questo problema qui è un problema di comunità ed è un problema da risolvere insieme. Perché la meritocrazia non è qualcosa di astratto ma siamo noi e ad ognuno di noi tocca il proprio compito, insieme agli altri.

Se non facciamo diventare questa responsabilità una pratica, allora questa responsabilità di meritocrazia ci verrà tolta dal primo furbetto di turno. Bisogna gestire la situazione con fermezza e chiarezza, esponendo dettagliatamente le nostre idee e posizioni e sottolineando il proprio contributo.

Essere anche chiari sul non permettere a nessuno di prevaricare i propri diritti e l’impegno del proprio lavoro. In sostanza si tratta di dimostrare a tutti e soprattutto a sé stessi, che tutelare il proprio operato non significa essere deboli ma rispettosi di sé.

È fondamentale stabilire chiari confini e far valere il proprio punto di vista, soprattutto in un ambiente lavorativo competitivo.

Questo credo sia il modo migliore per affrontare questo tipo poco simpatico di situazioni.

Quello che possono fare le aziende

Le proprietà hanno certamente un ruolo cardine perché scelgono il direttore che a sua volta scegli i vari capo servizi. Se il direttore è valido ed ha una mentalità meritocratica o almeno equa e giusta, allora tutto dovrebbe andare avanti a cascata.

Volendolo dire senza peli sulla lingua, le proprietà non dovrebbero mettere ai posti principali persone ruffiane o brave con le parole a cui non fanno susseguire fatti reali. O peggio ancora mettere in posti chiave soltanto persone brave a “riportare” – spesso a modo loro – quello che altri dipendenti pensano o dicono. Purtroppo lo sappiamo, capita anche questo.

Altra cosa che possono fare le proprietà, è quello di valutare periodicamente il lavoro che viene svolto dai direttori e di capi servizio, ponendo anche attenzione al lavoro che tutti gli addetti al reparto svolgono.

Si tratta quindi di attuare:

Politiche di Riconoscimento Equo

Implementare politiche di riconoscimento che valutino in modo equo sia la competenza tecnica che la capacità di gestire relazioni, evitando favoritismi basati esclusivamente su uno di questi aspetti. Magari affidandosi a società esterne, libere da influenze.

Sostegno alla Crescita Continua

Promuovere un ambiente di apprendimento continuo in cui il merito sia legato alla capacità di adattarsi e crescere nel tempo. Un settore come il nostro in continua evoluzione, merita personale qualificato e al passo coi tempi. Questo implica che sia le proprietà devono esserlo per poter valutare, sia che gli addetti ai lavori siano aggiornati continuamente. Verificare questo, è già un ottimo punto di partenza.

Conclusioni: Le aziende crescono e durano solo se si affidano ai competenti

Il paradosso della meritocrazia rappresenta una sfida complessa per chiunque cerchi di progredire nella propria carriera, sia nel front che nel back office. Riconoscere e affrontare questo paradosso richiede un approccio consapevole e un impegno costante da parte degli hotel, per creare un ambiente di lavoro in cui il successo rifletta veramente il merito individuale.

Solo attraverso la consapevolezza di questi dilemmi e l’impegno per superarli possiamo sperare di creare un contesto lavorativo in cui ogni individuo possa avanzare in base alle proprie competenze, sforzi e risultati effettivi.

Ma soprattutto le proprietà devono rendersi conto che le professionalità sono sempre più rare in questo contesto e che quelle reali che producono davvero risultati, vanno scoperte, valorizzate e tutelate. Solo così si potranno evitare i continui turn-over annuali nei vari reparti. E soprattutto solo così l’azienda hotel può pensare di crescere sempre nel tempo e di raggiungere risultati duraturi.

Perché la meritocrazia vale anche per loro: ci sono aziende che ad un certo punto non meritano più lavoratori di alto livello.

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