Cultura

Turismo e cultura, idee e spunti per il rilancio di un territorio – I parte

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una evoluzione senza precedenti del viaggio, inteso come esperienza turistica. Il cambiamento si è avuto nella diffusione del prodotto turistico presso fasce di consumatori, che nello scorso decennio non avrebbero mai pensato di fruire di alcuna soluzione commerciale.

Il sistema sociale stesso si è modificato conformandosi alle nuove mode e ai nuovi canoni di accettazione e stratificazione sociale, basati sulla nuova conformazione del mercato. Pertanto, il peso economico-sociale, del tempo libero e dell’entertainment è diventato sempre più consistente, portando ad una ridefinizione della scala d’importanza dei bisogni di Maslow.

La rivoluzione del web e dei voli low cost

Questa nuova conformazione è senz’altro dovuta alla diffusione di internet, all’avvento delle compagnie aeree low cost, oltre che all’aumento del benessere, della tv-dipendenza e l’avvento di nuovi modelli di vita e nuove possibilità ricettive.

È passato diverso tempo da allora e oggi siamo al Turismo 2.0 fatto di condivisione, di esperienze e social life, nell’ottica di viaggio visto come accrescimento culturale e mentale.

Proprio in virtù di queste osservazioni, all’alba di una nuova evoluzione, credo sia necessario abbandonare l’infinità di luoghi comuni che erodono la dottrina turistica, il “petrolio”, la risorsa.

L’evoluzione del turismo e i luoghi comuni

Il turismo stesso non esiste in quanto tale, poiché vi sono o industrie legate all’ospitalità (hotel, agenzie di viaggi, tour operator) oppure legate alla gestione delle attrazioni (parchi divertimenti, musei, escursioni).

Il turismo così come lo vediamo è un fenomeno sociale generico e non un settore dell’economia empirico. Almeno non qui. Bisognerebbe ricalibrare la definizione di turismo ed il suo trattamento in ambito economico-statistico.

Altri luoghi comuni riguardano i concetti di “petrolio” “oro nero” e “giacimento” quando ci si riferisce al patrimonio culturale italiano, presente (la parte maggiore del patrimonio mondiale è italiano) ma consapevolmente non valorizzato (e a volte tutelato) adeguatamente. Se ne parla ormai da anni ma ben poco è cambiato.

Spunti per valorizzare la cultura

Ma come si fa a valorizzare la cultura? Sicuramente bisogna “mettere in turismo” ossia fare in modo che il patrimonio culturale assurga ad attrattore turistico.

Fare questo non significa trasformare il patrimonio culturale in una Disney fatta di colori e slogan accattivanti (sebbene la Disney sia una delle più grosse aziende di intrattenimento mondiale ed in fatto di gestione dei visitatori ci sarebbe solo da imparare), ma piuttosto deve significare dare un’utilità socio-economica e non solo storico-artistica.

I dati sul turismo culturale

La motivazione culturale influenza il 40% dei turisti internazionali che visitano il nostro Paese. La spesa complessiva dei turisti “culturali” arriva a 9,3 miliardi di euro, di cui un 60% è generata da stranieri, pertanto la cultura va vista come risorsa e occorre andare oltre il restaurare, repertoriare, archiviare e proteggere.

Quello è fuori discussione. Adesso abbiamo bisogno di valo-tutelare per onore del bello e per monetarizzare (preservando), se questo sia possibile in un sistema in cui aumenta la tassa di soggiorno negli alberghi e gli introiti derivanti non vengono investiti nel settore di provenienza.

Lo sviluppo passa per la formazione

Bisogna studiare i modelli di sviluppo dare voce e corpo ai lab universitari che potrebbero trovare un grande bacino di produzione scientifica all’interno del fenomeno turistico, andando a ricoprire i più svariati ambiti.

Creare fucine scientifiche che possano riconnettersi al territorio, creare una logica di integrazione dei dati contenuti in rete, rendere i dati accessibili (attendibili) e visibili in immediato, realizzando sistemi di interoperabilità attraverso la digitalizzazione del prodotto culturale e – perché no? – definendo strategie di comunicazione per i musei e poli culturali lasciati alla polvere.

Combattiamo per migliorare le cose in un Paese che forse migliorerebbe da solo come tutti gli altri, se solo fosse consentito il ricambio generazionale e quindi la naturale evoluzione dei suoi impiegati.

Investire di più per creare occupazione

Investire nella cultura e nella sua valorizzazione, puntare sull’innovazione, sarebbe una strada per combattere la disoccupazione, poiché si potrebbero aprire fronti praticamente inesplorati di occupazione in Italia. Oggi un archeologo, in Italia, ha pochissime possibilità di fare quello per cui ha studiato dignitosamente.

Accade proprio In Italia? Nel Paese in cui ci sono la maggior parte dei siti di interesse archeologico? Dove non si riesce a fare uno scavo senza inciampare in un nuovo sito d’interesse? In questo campo c’è ancora molto da fare e quello che è stato fatto ormai è da rifare.

Spesso (in Italia) si pensa ai beni culturali con l’unica missione di preservare per le generazioni future, come se noi non fossimo inclusi nel loro godimento, come se noi non potessimo goderne, come se a noi non servisse mostrarli o osservarli, ma soltanto tutelarli (ammesso che lo siano davvero, ma non sempre è così).

Cambiare approccio per invertire la tendenza

È questa l’equazione che si instaura nella nostra mente ma che non corrisponde a realtà (fortunatamente): più vietiamo o nascondiamo, più mettiamo al riparo dei flash e più tuteliamo. In realtà è fondamentale valorizzare una risorsa: è falso sostenere che più si valorizza e si mette in mostra e più il bene è in pericolo, è mercificato.

Come è stato sostenuto da Antonio Preiti in un suo articolo (che cito spesso, ma che rende davvero l’idea) “…i musei sono praterie da riempire e non riserve da preservare. Sono luoghi in sintonia con le pulsioni della città, non luoghi asettici, improntati alla retorica del bello senza conseguenze… ”.

Le chiavi del rilancio di una destinazione

Ovviamente per il rilancio di una destinazione non basta la cultura, altrimenti Atene sarebbe la città turistica per eccellenza. Non basta la testimonianza storica nelle cose, serve lasciare un’esperienza evocativa legata ad essa, creare engagement a livello museale e attrattivo locale.

Ma non basta neanche solo questo, non basta solo il paesaggio, altrimenti tutti andremmo ai Caraibi e Rimini non sarebbe tra le più visitate destinazioni italiane.

Allora come si fa a rendere migliore una destinazione? Come si fa a rendere più fruibile una città italiana? Se i nostri grandi mercati sono le vacanze estive e i week end come si può allargare il mercato prescindendo dalla stagionalità? Tenteremo di dare ulteriori idee e spunti per la riflessione nei prossimi articoli.

Se hai considerazioni o domande, commenta il post o unisciti alle discussioni sul Destination Management nel Forum.

Commenta l’articolo e partecipa alla discussione