Destination Management

Il Piano per lo sviluppo: ultimo treno per salvare il turismo in Italia

Il Piano strategico per lo Sviluppo 2020, presentato a gennaio dello scorso anno, ha finalmente ridato voce alle tante aspettative degli operatori del settore. Allo stesso tempo, il Piano offre il fianco alla moltitudine di opinionisti, sempre pronti a demolire l’utilità dei suddetti piani, generalizzando, seminando scie di consigli infrastrutturali e finanziari che si sarebbero rivelati più utili rispetto alla teoria scritta.

Il documento in questione è considerato da parte di alcuni il baluardo della ripresa, la voce soffocata degli operatori rimasti inascoltati per troppo tempo, la realtà fattasi inchiostro delle potenzialità dell’organizzazione pubblica che sistematicamente, negli anni, restano solo inchiostro.

Il piano presenta diverse utilità, finalità e sfaccettature, una delle principali sicuramente era informare, dando numeri “freschi”, concedendo visioni attendibili e tal volta dure, schiette e glaciali. Molti dei grafici contenuti nel Piano hanno lasciato a bocca aperta chi non vive il turismo giorno per giorno, causando sbigottimenti inaspettati tra chi credeva che l’Italia fosse oltre che competitiva addirittura leader nel turismo mondiale e che questo settore non soffrisse.

Leader nel turismo? Un luogo comune, i dati dicono altro

Si, è vero: siamo sempre stati tra i top player, ma non c’è mai stato un grosso impegno ai piani alti della politica, anzi la legge e la burocrazia spesso hanno ostacolato la gestione della macchina turistica, snaturando le destinazioni come agglomerati di culture, paesaggi e usi simili. È stato ampliato enormemente il potere decisionale delle Regioni, che però non hanno ottenuto grandi risultati.

Da queste parti c’è sempre stata l’idea che i turisti ci sono e ci saranno sempre perché “vai a Napoli e poi muori, Roma è la città eterna, la pizza è nata qui…”: insomma qualsiasi cosa facciamo (bella o brutta) qui si è diffusa l’idea – forse distorta – che i turisti ci sono sempre stati e sempre ci saranno.

Il Piano Gnudi ha osservato queste criticità (forse arrivando un po’ tardi, erano anni che si chiedeva aiuto) e dopo molto tempo le ha messe in risalto attraverso un piano nazionale, fornendo prove, indici e grafici che facevano strabuzzare gli occhi, evidenziando cosa fare e come farlo (ricomprendendo soluzioni pluri-pluriennali).

È vero, i Piani Strategici (che troppo facilmente prestano il fianco a molte critiche) non sempre portano ad Azioni Strategiche dirette e spesso i dati contenuti conservano un’impurità dovuta alla moltitudine di strutture ricettive non convenzionali, difficili da monitorare.

Ma questo Piano è comunque servito a riaprire la partita, ad attirare l’attenzione scientifica e progettuale. Servono grandi azioni, servono linee ferroviarie, serve integrazione, serve tutto ma il tutto deve seguire un corso. Il TDLAB o gli Open Days nei musei potenzialmente possono essere dei punti di partenza. Ma è necessario che seguano azioni concrete.

L’impietoso confronto tra la Sicilia e le Baleari

I dati e i grafici contenuti nel Piano seppure (per alcuni) scontati, sembrano utili. Il caso più emblematico citato dal Piano è quello relativo alla Sicilia. Il Piano ha effettuato un confronto con le Isole Baleari (Spagna) comparabili per chilometraggio di coste (ma non per grandezza, le Baleari sono grandi 1/5 della Sicilia), ma a quanto pare non certo per risultati.

Nel grafico che segue si osserva la differenza molto marcata per presenze turistiche in riferimento all’intervallo temporale 2000-2010, sottolineando la disponibilità chilometrica di coste a disposizione.

confronto-presenze-turistiche-Sicilia-Isole-Baleari

Il risultato di questo acido confronto è di 41,2 milioni di pernottamenti per le isole spagnole, contro i 3,7 della Sicilia. Ovviamente sarebbe improduttivo osservare questo grafico senza contestualizzare il tutto, senza tenere presente delle enormi difficoltà che la Sicilia ha attraversato, del fatto che parliamo di differenze abissali di popolazione e grandezze differenti. Ma non bisogna fare di questi fattori una scusante comoda, anche perché le destinazioni sono comparabili per chilometraggio costiero e poi praticamente null’altro.

Le differenze sono abnormi e sicuramente non tutto è oro quello che luccica; magari nelle Baleari ci sarà una più alta erosione del patrimonio ambientale e culturale, magari c’è più caos oppure, più semplicemente, un punto di partenza per lo sviluppo è individuare un obiettivo comune, coinvolgere la popolazione nel perseguimento di esso, studiare la strategia e valutare i possibili risvolti positivi e negativi, conducendo il bene pubblico alla valo-tutela, che in Italia troppo spesso prende solo la parte destinata alla tutela. Non raramente, infatti, viene stravolta e trasformata in mero divieto.

Attraverso i prossimi articoli potremo osservare le peculiarità del Piano, i suoi propositi reali, di immediata fattibilità e quelli più ostici. Osserveremo quanto del Piano si è perso e quanto invece è già partito seminando positività, anche in Sicilia. Basta guardare l’Ecomuseo sorto a Favignana e la grande “cultura dal basso” che costantemente si reinventa proprio nell’isola.

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