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Federico Pigni: Il Web Marketing Transalpino | Casi di Successo del Turismo 2.0

Casi di Successo del Turismo 2.0, interviste e case histories dal mondo del Travel e del Web Marketing, ogni primo mercoledì del mese, affiancate alla Rubrica “Turismo 2.0 Navigando si impara”.

Oggi incontriamo Federico Pigni, Assistant Professor, in Management & Technology, presso la Grenoble Ecole de Management – GEM, italiano d’origine ed europeo d’adozione. In equilibrio tra ricerca, docenza e lavoro sul campo, con attività imprenditoriali e consulenze.

Ti sei perso le ultime interviste? Ecco come rimediare?

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FormazioneTurismo presenta l’Intervista al Professor Federico Pigni, docente di Management & Technology, presso la Grenoble Ecole de Management, gradevole conversazione sul destino del Web Marketing d’Oltralpe, lo stato dell’arte del Digital Marketing nostrano, il futuro della Formazione ed altre amenità.

FormazioneTurismo: Federico Pigni, italianissimo docente alla Ecole de Management di Grenoble. Ci puoi raccontare in poche pennellate il quadro del tuo excursus professionale.

Federico: Ho sempre mantenuto un profilo misto, accademico e professionale. Dopo la laurea e il servizio militare ho accettato una borsa di addestramento didattico scientifico all’Università Carlo Cattaneo – LIUC. Negli stessi anni ho poi fondato con alcuni compagni di scuola una società che si occupava di sviluppi Web. In LIUC ho completato il mio dottorato di ricerca.

Ho abbandonato dopo circa 6 anni la carriera da imprenditore e ho voluto provare l’ebbrezza di un anno in ricerca e sviluppo in una multinazionale, sono quindi partito per Sophia Antipolis e sono diventato post-dottorando in Orange – France Telecom.

E la Francia ha iniziato a entrarmi nel sangue. In seguito sono ritornato in Italia e con il collega Samuele Astuti abbiamo gettato le basi per costituire in seno a LIUC un laboratorio di trasferimento tecnologico sulla tecnologia RFId (ndr. Radio Frequency IDentification)

Oltre agli impegni universitari mi occupavo, negli stessi anni, di innovazione nel settore bancario (principalmente su metodologie per l’innovazione e sulla relazione con il cliente e lo sviluppo della filiale) e ho collaborato a diversi progetti con i principali istituti di credito.

Nel 2010 ho deciso di accettare un posto a ‘tempo indeterminato’ a Grenoble, dove, oltre alle attività di insegnamento e ricerca partenariale, studio le opportunità di creazione di valore attraverso lo sfruttamento di flussi di dati in tempo reale (una tematica che abbiamo chiamato Digital Data Stream).

FormazioneTurismo: Immaginiamo di compilare la tua carta di identità: rivelaci qualche dato anagrafico e quello che vuoi tu…

Federico: Tra qualche giorno compirò 37 anni. Ho una compagna meravigliosa e sto per diventare papà per la prima volta. Amo l’astronomia e la vela… e pure le tecnologie dell’informazione, ma qui è difficile distinguere tra lavoro e piacere. E credo che la mia fortuna stia proprio in questo: il mio lavoro mi piace e mi diverte.

FormazioneTurismo: E qui non possiamo che darti ragione.
Perché sei approdato a Grenoble? Raccontaci le caratteristiche e i percorsi di studio proposti da questa Scuola? Qual è il tuo ruolo e cosa insegni?

Federico: A Grenoble c’era un gruppo di ricerca capeggiato da Gabriele Piccoli che si occupava di tematiche che mi interessavano. Ho così ottenuto una posizione di permanente a Grenoble Ecole de Management, a condizioni che ho reputato interessanti. Insomma mi sembrava un’ottima opportunità per migliorare le mie capacità accademiche e di ricerca.

Grenoble Ecole de Management – GEM è quello che in Francia si chiama una “grande ecole”. La scuola ha una buona reputazione essendo tra le prime dieci in Francia e molti programmi sono, secondo il Financial Time, tra i primi dieci al mondo. Non è un’università nel senso vero del termine, ma una Business School. Come tale vi è una rigorosa selezione all’ingresso e si accede solo per concorso. Gli studenti prima devono superare un esame nazionale ed essere classificati, poi, e in base all’esito, possono scegliere la scuola a cui fare domanda. Tanto per darti un’idea, riceviamo circa 15.000 domande l’anno – il numero più alto in Francia – ne riteniamo circa 3.000 come ammissibili e accettiamo solo 650 studenti l’anno – master esclusi. Vi si può accedere solo 2 o 3 anni di studi dopo il BAC (il loro esame di maturità).

La scuola è chiaramente orientata agli aspetti manageriali e la formazione prevede sia diplomi triennali sia, a livelli successivi e specialistiche (quindi BAC+3 significa livello bachelor ossia laurea triennale, BAC+5 laurea specialistica o laurea con master, BAC+8 post laurea, nonché i dottorati).

Il punto forte di GEM è la sua vocazione manageriale e tecnologica. E’ uno dei membri fondatori di un “campus di innovazione”, chiamato GIANT, che raggruppa le diverse istituzioni di ricerca e formazione nelle tecnologie della comunicazione, delle energie rinnovabili e bioscienze. Ancora, giusto per dare un’idea, il campus prevede un investimento di 1,2 miliardi di Euro nel quinquennio 2010-2015.

Per quanto mi riguarda, sono il responsabile per i corsi di sistemi informativi sia per GGSB (la business school anglofona di GEM) che per ESC (la business school Francese).
Oltre al ruolo di responsabile, insegno anche in tutti i corsi che poi coordino e quindi faccio formazione sia in francese che in inglese.

I corsi che tengo hanno l’obiettivo di responsabilizzare i futuri manager a considerare appropriatamente le tecnologie dell’informazione nella formulazione delle loro strategie, mostrando come esse possano svolgere un ruolo fondamentale (e strategico) per la competitività dell’impresa.

FormazioneTurismo: Hai insegnato anche in Italia? Quali differenze tra le due esperienze puoi sottolinearci?

Federico: Sì ho insegnato anche in Italia, oltre che in LIUC anche in Cattolica e in Bocconi (solo master) per oltre dieci anni. La differenza più profonda che mi sembra di vedere è che in Italia si tenda a fare studiare di più. Quello che intendo è che generalmente in Italia tendiamo ad assegnare uno o più testi di riferimento e lo studente, oltre a quello che si fa in classe, all’esame porta il contenuto del libro.

A livello di Business School si lavora molto di più in classe e l’apprendimento è in sostanza basato su casi, deduzione e tesine. La teoria si discute solo alla fine, dopo la discussione del problema. In una frase, molto più pragmatico e meno teorico.

L’altra cosa un po’ particolare è la quantità di stranieri che frequentano le formazioni master. In certe classi mi capita di avere almeno una decina di nazionalità diverse: italiani, francesi, indiani, libanesi, egiziani, cinesi, coreani, giapponesi, americani, argentini, colombiani, …

FormazioneTurismo: Diverse provenienze, diversi vissuti ed esperienze. Sicuramente un contesto stimolante per il discente, ma anche per il docente. Perché in Italia un contesto di questo tipo non è attuale ed anche difficilmente ipotizzabile per il futuro?

Federico: Credo che la ragione sia l’attrattività paese per quanto concerne la formazione. Gli studenti a livello internazionale scelgono la scuola in base alle “classifiche”, i ranking delle scuole e le certificazioni.

Per farti un esempio, uno studente che decidesse di venire in Europa a studiare in una business school, quasi certamente per orientarsi farebbe riferimento al ranking del Financial Times.
Se lo scorri, ti accorgi che solo due istituzioni italiane sono presenti (in settima e quarantesima posizione) su un totale di settantacinque… ed entrambe le scuole sono a Milano. Quindi a parte le note eccellenze – che ci sono, si badi bene, e sono riconosciute – l’attrattività delle nostre scuole non è il massimo. Considera che la Francia piazza tre business school nella top 10 europea.

Attrattività delle scuole ben diversa da quella paese che potremmo ben sfruttare: infatti gli studenti internazionali sono attirati dall’Italia, ma non dalla nostra offerta formativa. E comunque una volta “formati” credo sia difficile trattenerli con allettanti condizioni lavorative.

Con questo non considerarmi un sostenitore dei ranking, anzi, il problema è che sono gli studenti a farne uso, in una specie di problema uovo-gallina.

FormazioneTurismo: In che misura una Business School, con un approccio così pragmatico, con un fil rouge così stretto con le aziende, aiuta a formare il Manager o l’E-marketer di domani, rispetto ad un percorso più accademico come quello italiano?

Federico: Credo che sia dovuto a tre fattori principali: ricerca, insegnamento e business.

Io lavoro in una business school e la mia ricerca è ovviamente orientata al business, in particolare io cerco di aiutare le organizzazioni ad appropriarsi al meglio dei potenziali strategici che l’ICT mette a disposizione. Per fare questo non posso essere certo chiuso in una torre d’avorio, anzi, come dico sempre: ho il muso ben piantato nel business.

Considera che le mie ricerche sono finanziate da organizzazioni private ed imprese. Occuparmi di temi non rilevanti per il business significherebbe per me non poter “vendere” la mia ricerca e quindi non poter avere i fondi per condurla. Il cerchio si chiude perché se spesso scherziamo sul “chi non sa, insegna”, garantisco che nelle business school trovo sempre più docenti che sanno e insegnano.

Infine, sempre facendo riferimento al “fil rouge”, quando progettiamo i corsi il nostro interlocutore principale resta l’azienda: la formazione è funzionale ai bisogni ed alla loro anticipazione. Siamo bravi quando formiamo su ciò che serve e servirà.

Quando progettiamo un corso, la scuola ci mette a disposizione un budget per invitare al comitato scientifico manager e ricercatori a livello internazionale, con lo scopo di farli partecipare allo sviluppo dell’offerta formativa.

Questo ci porta ad essere pragmatici ed efficaci.

FormazioneTurismo: I tuoi percorsi didattici prevedono corsi e moduli di Corporate Web Communication, di Strategie di Branding On-line, di utilizzo e sviluppo di reti sociali… L’azienda oggi e quindi il Manager di domani possono prescindere dall’utilizzo del Digital marketing e del Social networking, nei loro piani aziendali, nella stessa quotidianità, nello svolgimento dei propri compiti?

Federico: Ti rispondo con un leggero sorriso sulle labbra perché è un po’ come chiedere al fornaio se il suo pane è buono! Ti rispondo come sempre faccio in questi casi: dipende, ma nella maggior parte dei casi, no. Prescindere credo sia davvero molto difficile.

Nel settore del turismo, tu mi insegni, credo sia imprescindibile. Ti propongo lo stesso esempio che faccio ai miei studenti per introdurli al discorso. L’estate scorsa dovevo raggiungere i miei genitori a Varese partendo da Roma. Non avevo voglia di farmi tutto il viaggio e a un bel momento decido di uscire dall’autostrada. Orvieto. Ora, non avevo la più pallida idea di dove alloggiare, prendo il cellulare e vado su Booking.com. Seleziono così l’hotel in base a tre criteri: “centralità”, rating e prezzo. Passo una bellissima nottata anche perché ero capitato al momento di un jazz festival e ho avuto musica live direttamente in camera semplicemente tenendo aperte le finestre. Il giorno successivo il padrone dell’hotel, molto alla vecchia maniera, mi chiede come è andata, se mi sono trovato bene e se non mi hanno infastidito “i rumori di ieri sera”. “Rumori?” replico io. “Sì… sa, la musica di ieri notte: vede un cliente ieri si è lamentato del rumore e oggi mi sono trovato un feedback negativo sul Booking.com che mi ha fatto scendere di 0,1 rispetto all’hotel di fronte”.

Se sviluppo l’esempio cosa ottengo: devo insegnare queste cose ai miei studenti – futuri manager – , devo fare ricerca e capire quali strategie permettono la migliore gestione della relazione con i propri clienti e ai manager devo fornire strumenti per decidere come organizzarsi e gestire i feedback online. Mmmmm, mi sa che non posso prescindere dall’utilizzo del Digital marketing e del Social networking.

FormazioneTurismo: Parliamo di contrattura e di crisi. Senza scomodare i grandi sistemi, dal mondo dell’imprenditoria e dei mercati, ma anche del cittadino comune si chiede a gran voce un piano strategico per la Crescita. In Italia si stenta a comprendere la difficoltà delle aziende, che anche nel settore alberghiero sono prevalentemente PMI, spesso aziende a conduzione familiare, che non hanno la forza di innovare, rendere più attuali e competitive le proprie strategie. Non esistono (o per lo meno non ci sono stati ancora rivelati) piani italiani per sostenere ed incentivare ricerca, sperimentazione, aggiornamento, formazione in azienda, consulenza ed affiancamento di specialisti presso le stesse strutture.

Che futuro vedi per le piccole aziende italiane in affanno?

Federico: Qui credo che sia opportuno distinguere da problemi strutturali e contingenti.

Forse in modo un po’ naïve sono convinto che abbiamo appena scalfito il potenziale turistico del nostro paese, a causa di un ritardo infrastrutturale enorme. Criticamente mi sembra che siamo senza una direzione precisa, senza investimenti mirati, senza una visione di lungo termine e che speriamo che “l’effetto Italia” (sole, mare e buon cibo) e “patrimonio dell’umanità” bastino da soli a far vivere il settore turismo.

Il problema è che le nostre imprese non hanno voce in capitolo ed è invece proprio dove credo che gli investimenti pubblici porterebbero i maggiori benefici. Attenzione, non finanziamenti pubblici a pioggia, ma ben mirati per dotare di infrastrutture adeguate di accoglienza e di servizi le nostre molteplici zone ad elevata attrattività turistica.

Quello che manca è un piano strategico che identifichi precise priorità, interventi ed evoluzioni. Se poi avessimo la bella abitudine di “far di conto” anche nell’investimento pubblico, potremmo anche iniziare a valutare quali investimenti, in quali servizi rendono di più e replicare in altre aree.

Insomma, fare quello che ogni azienda fa: faccio un investimento e valuto bene quanto mi ha reso. Con i soldi pubblici, mi sembra che si perda un po’ quello spirito che ci rende unici al mondo: l’imprenditorialità.

In termini contingenti proprio le PMI hanno la possibilità di affacciarsi sul mercato globale e pensare a offerte specifiche che veicolino il proprio brand on line.

Internet ci ha dato un nuovo canale di comunicazione, i Social Network un modo nuovo di comunicare con la clientela. Certo, sfruttare questo “World of Mouths” non è banale e farsi accompagnare in questo percorso è raccomandabile. Non stiamo neppure parlando di investimenti mostruosi: è vero costano poco, ma non sono servizi “una tantum”.

Perseguire una strategia di comunicazione on line non è come semplicemente acquistare un servizio, dimenticarsene e incassare. Non è costruire un sito web graficamente accattivante e sperare che così i clienti in tutto il mondo ci troveranno. Si richiede un preciso allineamento tra la soluzione, le necessità dell’organizzazione, le sue capacità e anche la sua maturità.

È un po’ come un processo di apprendimento, magari prima di andare con le nostre gambe avremo bisogno di un aiuto, ma l’obiettivo è poi camminare da soli una volta che si è capito come fare. Pensa ancora a Orvieto e al calo di 0,1 del ranking di Booking.com

FormazioneTurismo: Grazie per questo quadro ben tratteggiato sulle opportunità (grandi) e i rischi (molti) del panorama sul quale si affacciano le piccole medie imprese italiane, anche del settore Travel. Soprattutto in relazione al nuovo ruolo che hanno assunto Rete Sociali e Internet.

Ma torniamo al Paese che ti ospita…

In Francia, dove vivi, operi e nel quale dai il tuo contributo anche in termini di competenza, creatività per la crescita del Paese, quale clima si respira, anche in relazione ai recenti sviluppi socio-politici?

Federico: Il clima è chiaramente di incertezza, ma percepisco un minore nervosismo rispetto a quando rientro in Italia.

Hollande prima di insediarsi, la sera in cui ha saputo di essere eletto, nel suo discorso agli elettori ha detto una frase che mi ha colpito molto: “Nous ne sommes pas n’importe quel pays de la planète, n’importe quelle nation du monde. Nous sommes la France” (Noi non siamo un paese qualsiasi di questo pianeta o una nazione qualsiasi del mondo. Noi siamo la Francia). A volte accusiamo i nostri cugini francesi di essere un po’ vanitosi, ma forse un po’ più di consapevolezza del nostro potenziale ci vorrebbe anche da noi.

Noi non siamo un paese qualsiasi. Noi siamo l’Italia. A noi cambiare le cose.

FormazioneTurismo: La tua esperienza transalpina, quasi mitteleuropea, ti porta ad avere una visione meno costretta e più ampia. Come vedi da lassù il panorama europeo, soprattutto sotto l’ottica del futuro immediato delle imprese e dei ragazzi che studiano, si stanno formando e cercano di costruire il proprio progetto di vita?

Federico: Sarà perché sono sempre a contatto con dei giovani che ho un’estrema fiducia in loro. Nella mia scuola abbiamo anche un incubatore di start-up dove alcuni nostri studenti stanno facendo crescere il proprio progetto imprenditoriale. Forse uno dei problemi maggiori che abbiamo è che come europei a livello mondiale possiamo apparire passé, nel senso di “vecchi”.

Ricordo una presentazione che fece qualche mese fa un docente di origini indiane ad una conferenza. Dopo aver ascoltato i progetti che i giovani ricercatori europei avevano sviluppato disse:

Mi sono piacevolmente stupito di constatare quanto potenziale innovativo abbiate. Non l’avrei mai detto vista l’immagine che abbiamo dell’Europa

Ancora una volta, la percezione è qualcosa di importante, ma i nostri giovani sono la nostra principale risorsa. Facciamo di tutto per dare loro un contesto dove possano realizzare i propri potenziali, altrimenti il nostro rischio è quello di vederli partire insieme ai capitali.

FormazioneTurismo: Federico anche tu sei un cervello in fuga. Espressione un po’ grezza e… parziale anche perché insieme all’aspetto razionale, si allontana lo spirito, spesso la creatività, il cuore, quindi la parte dei valori, della struttura etica e degli affetti di una persona.

Come vivi personalmente lavorare e vivere in un’altra nazione?

In senso più ampio, non ritieni un rischio assistere impotenti alla fuoriuscita irrefrenabile dei migliori professionisti, docenti, ricercatori che l’Italia ha cresciuto, formato e sui quali dovremmo puntare con le nostre risorse, forze ed energie?

Federico: Vero. Sono espatriato e orgogliosissimo dei miei italici natali, della mia educazione in Italia e delle opportunità che il Paese mi ha dato. Come italiano all’estero sono sfiduciato dal “sistema Italia”.

La flessibilità che ci ha permesso la miriade di PMI che fanno l’economia del nostro paese ci ha portato ad essere una delle principali economie del pianeta. La nostra capacità di resistere alle crisi e di adattarci ai cambiamenti economici, ci ha reso però miopi nel programmare il futuro.

Non abbiamo adeguatamente investito in innovazione e ricerca e ancora una volta proprio le PMI hanno dovuto farsi carico di queste mancanze. Non che le eccellenze manchino, come dicevo. L’Italia è ricca di eccellenze, peccato che a livello aggregato e di sistema paese siamo sotto media.

Sviluppo vuol dire innovazione, vuol dire imprenditoria, vuol dire fiducia nel futuro, vuol dire giovani.

I potenziali ci sono, ora sta a noi creare le condizioni perché non vadano perduti.

Dovremmo smetterla di navigare a vista e iniziare a programmare, investire e agire oggi per il futuro. Non come si è fatto finora: programmare oggi la giornata di domani.

Visto poi che il mio campo si riferisce alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è necessario che si operi adeguatamente un trasferimento delle competenze che esistono nelle accademie, verso il tessuto industriale e viceversa. Se le nostre imprese non investono nelle università non possiamo sperare nella ricerca applicata, allo stesso modo se le università puntano a una ricerca applicata lontana dai bisogni delle imprese, come possono pretendere di essere finanziati?

Il corollario di questo è che università, imprese e Stato sono gli ingredienti fondamentali per un paese che innova (qui non invento nulla, ma si tratta di studi scientifici).

FormazioneTurismo: In Italia si stanno diffondendo percorsi formativi, corsi e master, che cercano di cucire quello strappo tra formazione accademica e reali bisogni e dinamiche del mondo del lavoro.

FormazioneTurismo ha come missione quella di segnalare queste esperienze e di informare giovani manager e operatori del settore Travel che necessitano di aggiornamento e di confronto sulle nuove strategie di Web Marketing.

Si può pensare a Territori e Associazioni di categoria che propongano percorsi di formazione e di affiancamento /accompagnamento in azienda agli operatori turistico-alberghieri.

Come pensi che il comparto Travel in Italia possa aggiornarsi ed allinearsi con altri paesi europei più evoluti e con strategie commerciali/marketing decisamente più competitive?

Federico: Mi concentro sugli elementi che le imprese possono controllare.

• A livello di impresa, riconoscere una mancanza è il primo passo verso la soluzione. Il problema è dunque legato alla consapevolezza dei potenziali.

Azioni specifiche anche a livello associativo devono essere intraprese per sensibilizzare le imprese verso i nuovi modelli di comunicazione.

Social network, piattaforme di booking, nuovi intermediari, blog, motori di ricerca hanno radicalmente cambiato lo scenario del marketing tradizionale. Non solo, i contesti d’uso sono mutati. Siamo sempre più mobili, abbiamo tablet e smartphone, utilizziamo app e ci siamo abituati ad avere i servizi a distanza di un click (non di mouse, ma di dito!). Usciamo dall’autostrada e vogliamo scegliere il miglior hotel e impostare l’indirizzo sul navigatore, vogliamo poter regalare soggiorni a condizioni particolarmente vantaggiose, vogliamo “fare l’affare” del giorno e avere una camera a metà prezzo e prendere un volo per pochi euro. Come operatori possiamo conoscere in tempo reale cosa pensano i nostri clienti di noi (cito ancora l’esempio di Booking.com o TripAdvisor) e adeguarci alle loro esigenze molto più rapidamente. Non dobbiamo neppure gestire più i questionari cartacei nelle camere: i nostri clienti si esprimono on line. Faccio un esempio banale: se online abbiamo un modulo di prenotazione, perché non raccogliere le preferenze del nostro cliente? Perché non chiedergli la bevanda preferita e fargliela trovare in camera andando oltre la bottiglia d’acqua? Tecnologicamente è semplicissimo, in termini di marketing il valore è chiaro, ma io trovo sempre la bottiglietta d’acqua. Siamo cambiati. I nostri clienti sono cambiati e come operatori dobbiamo cambiare.

Riassumo in pochi punti:

1. Sensibilizzare, per diffondere la consapevolezza del problema;
2. Informare, per spiegare potenziali e opportunità;
3. Trasferire conoscenza, per fornire gli strumenti per innovare;
4. Innovare, sulla base dei nostri strumenti;
5. Misurare, i risultati che abbiamo ottenuto.

E queste azioni devono essere coordinate per fornire alle imprese le basi per poter innovare e competere. Come accennavi, le azioni organiche e anche dirette a livello associativo e territoriale sono chiaramente auspicabili.

FormazioneTurismo: Cosa consigli ai giovani italiani che vogliono diventare manager nel settore dell’Hotellerie (e non solo)?

Federico: Consiglierei loro di prepararsi bene. Non è un settore facile, richiede flessibilità e imprenditorialità. In Italia abbiamo delle ottime scuole e l’estero può essere utile per confrontarsi con realtà di gestione differenti e, perché no, per specializzarsi anche in grandi catene.

Dici bene poi quando parli di manager nel settore dell’Hotellerie.

Gestione di:

• qualità
• innovazione
• cambiamento
• esperienza cliente
• economica e finanziaria
• leadership
• delega

sono tutti attributi manageriali propri di questo settore.

Quindi consiglio una solida preparazione manageriale unita ad una forte curiosità verso le novità: le abitudini dei nostri clienti cambiano ormai con un click.

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