Turismi

Vietato fotografare nei musei: barriera alla fruizione del nuovo turista digitale

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Il proliferare di smartphone e tablet negli ultimi anni ha creato un esercito di fotografi. Per carità: da qui a diventare professionisti ce ne corre. Ma il punto è un altro: ormai tutti – grandi e piccini – si dilettano a scattare foto, fare video, registrare, a ogni minima occasione. Come provetti reporter, documentano ogni momento della propria vita, nelle occasioni più disparate, con un unico obiettivo: condividere esperienze ed emozioni con più persone possibili nelle grandi piazze virtuali dei sociali network.

Ma spesso l’entusiasmo delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie si infrange contro i “divieti”. Nella stragrande maggioranza dei casi, quando si entra nei musei finisce la pacchia. L’ipad e l’iphone è meglio rimetterli in borsa: difficilmente vi faranno fotografare la vostra opera d’arte preferita, un sogno incontrare un custode che vi permetta di ritrarre i vostri amici e o i vostri familiari accanto a un Caravaggio o a un capolavoro di Raffaello. Ma perché ci sono questi divieti?

Appaiono quantomeno obsoleti in una società che corre. E che con la stessa velocità “condivide” sui social. Le spiegazioni – fondate o meno che siano – non mancano. Certo è che l’argomento, a una più attenta analisi, appare complesso. A maggior ragione perché – è il caso dell’Italia – leggi e leggine hanno finito per rendere ancora più ingarbugliata la situazione. Ma andiamo con ordine. Due, in particolare, sono i motivi che spingono musei, gallerie d’arte e quant’altro a esporre il divieto di fotografare le opere esposte.

Il primo: la tutela del diritto d’autore. Il secondo: i flash. A lungo andare, potrebbero rovinare le tele, i colori o gli altri materiali. Ma le cose stanno davvero così? Se nel primo caso si può solo storcere il naso e “arrendersi” davanti a un dato di fatto (ma il discorso ha senso solo per le opere moderne: per quelle più antiche il copyright è più che scaduto), nel secondo le perplessità regnano sovrane. Un esperimento ha dimostrato che una giustificazione del genere è priva di ogni fondamento.

In realtà più di qualcuno crede che la ragione che si cela dietro i divieti sia un’altra: il business. Di solito questo “signore” che ama fare soldi lo si incontra all’ingresso del museo e della galleria d’arte. Ci riferiamo alle aree shopping dove è possibile acquistare cartoline e altri gadget. Il ragionamento – in verità grossolano – è questo: se tutti fotografano i soggetti esposti, nessuno compra i souvenir in esposizione. Ma le cose, a ben vedere, non stanno proprio così. Gli oggetti in vendita hanno poco a che fare con un desiderio spesso irrefrenabile: documentare la propria vacanza o “certificare” la propria visita in un luogo d’arte, come spiega Michele Smargiassi su un blog di Repubblica.

Ecco, allora, che l’auspicio di cambiare la carte in tavola o, meglio, di adeguarsi ai tempi, diventa una necessità. Magari partendo dalle leggi. In Italia, dopo una serie di norme e regolamenti spesso in contraddizione tra loro, un decreto legislativo (22 gennaio 2004, n. 42) ha cercato di mettere un po’ di ordine alla materia. Per quanto riguarda foto o riprese amatoriali nei musei, almeno in teoria, occorrono le autorizzazioni dei responsabili. Che sicuramente mancherà nel caso in cui si vada a ledere un interesse economico. (Musei e beni culturali: autorizzazioni per fotografare opere d’arte).

Nel dubbio, accertarsi che i divieti siano espliciti: se non ci sono cartelli o altri avvisi, allora si può scattare liberamente, almeno fino a quando da qualche parte sbucherà un custode a dirvi che è il caso di fermarsi. La questione resta comunque controversa. Non a caso è anche diventata oggetto di un’interrogazione parlamentare (pubblicata il 12 novembre 2007; seduta n. 240 interrogazione n. 4-04417). Ai dubbi dell’onorevole Mancuso ha risposto con chiarezza l’allora sottosegretario ai beni culturali Marcucci, facendo esplicito riferimento proprio al decreto legislativo n. 42 del 2004. Un passaggio – in riferimento a un utilizzo concorrenziale di foto o filmati – merita di essere riportato:
Potrebbe (l’uso concorrenziale, ndr) configurarsi nel caso di pubblicazione di immagini di opere coperte dal diritto d’autore su internet, anche senza scopo di lucro o per finalità culturali o didattiche, quando la riproduzione avvenga ad altissima definizione (come nel caso delle immagini pubblicate da Wikipedia). Infatti, ciò consente ai navigatori della rete di “scaricare” le immagini e poterle riprodurre a loro volta ad altissima definizione e farne un uso anche commerciale”.

Pochi problemi, invece, quando si parla di “libertà di panorama”: quando ci si trova in un luogo pubblico e si vuol fotografare un soggetto (magari con un amico o un familiare in primo piano o sullo sfondo) non ci sono restrizioni, salvo il problema del diritto d’autore, che – è bene ricordare – vale solo per le opere moderne. Insomma: le norme creano numerosi ostacoli a “cacciatori” di immagini e video.

Ma è altrettanto vero che l’evoluzione degli strumenti di comunicazione richiede un aggiornamento delle regole. È giusto tutelare il diritto d’autore e le esigenze economiche di chi in qualche modo sfrutta un’opera. Ma è altrettanto vero che sarebbe opportuno tutelare anche la libertà di espressione degli (aspiranti) artisti nel nuovo millennio: magari non hanno pennelli e tele a disposizione, ma spesso e volentieri con smartphone e tablet “creano” a modo loro delle “opere” che nel bene o nel male fanno discutere. E poco importa se al posto dei critici ci sono i commenti su Facebook.
Spesso, in fondo, una foto serve solo per stimolare un dibattito in rete. I fini di lucro, dunque, c’entrano ben poco. Di qui, dunque, l’esigenza di venire incontro a una necessità impellente dell’ “Homo tecnologicus”. Problema non solo italiano, poiché all’estero non è che sia tanto diverso. Paradossalmente per lui sarebbe opportuno tornare al passato, quando per una foto o una ripresa amatoriale non c’era bisogno di alcuna autorizzazione.

E cade proprio in questi giorni il lancio dell’iniziativa #Invasionidigitali che prevede l’organizzazione di mini-eventi (invasioni) presso musei e luoghi d’arte italiani per mano di travel blogger, appassionati di fotografia e attivi sui social media, in particolare su instagram, con l’obiettivo di promuovere il patrimonio culturale.
Iniziativa che sta riscuotendo grande partecipazione e coinvolgimento, e sappiamo bene che quando in Italia si toccano i temi della cultura e dei beni culturali, così tanto sottovalutati e imbrigliati per il turismo e l’occupazione, il consenso non può che essere totale e diffuso. Con l’augurio che possa suscitare anche qualche seria riflessione e cambiamento tra gli addetti ai lavori.

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