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La nascita dell'ospitalità

#2
Un argomento che mi intriga, difatti provo a buttarmi nella tenzone.
Colui che accoglie altre persone nella propria abitazione si dice che ospita, nel tempo però tale termine venne ad assumere un significato "passivo".
Il più famoso OSPITE che si conosca credo fosse Anfitrione, ma l'arte dell'ospitalità è strettamente legata al concetto greco di XENIA che vanta una serie di rigide norme sul rapporto tra ospitante ed ospitato...
 
#3
In un passaggio dell’Iliade, Glauco e Diomede, figure mitiche e al tempo stesso avversari nella guerra di Troia, si ritrovano l’uno dinanzi all'altro. Il furore e la violenza che caratterizzano l’intera opera di Omero indurrebbero a pensare ad un classico duello tra un rappresentante di Troia e un eroe greco, ma accade qualcosa di inaspettato che interrompe l’atmosfera bellicosa: Diomede si rende conto che suo nonno Oineo ospitò Bellerofonte, a sua volta antenato di Glauco, ergo i due riconoscono un antico legame di Ospitalità. Tale patto, contratto dai loro antenati, lega anche i discendenti, sicché Diomede con gioia induce Glauco a deporre le armi. Dopo le sue parole, i due « si presero l’uno la mano dell’altro e rinnovarono il loro vincolo di fedeltà ». Qui l’ospitalità assume una forma “tradizionale” tanto da essere perpetuata…
 
#4
Amicizia e Ospitalità viaggiano parallelamente.
Qualcosa di soavemente perimetrale avvolge il concetto di Amicizia/Ospitalità: quando affermiamo di avere degli amici sappiamo invero che stiamo edulcorando un insieme costituito da persone con evidenti differenze comportamentali e che siamo in grado di accettare grazie al nostro livello di tolleranza. Un'altra particolarità di tale concetto è che Esso è completamente svincolato da qualsiasi tipo di barriera culturale, religiosa, sessuale, etnica o politica.
Apro e chiudo velocemente con una nota classica che appartiene a Cicerone. Si tratta di un pensiero legato al ricordo del pitagorico Archita di Taranto: "La natura non ama affatto l'isolamento e cerca sempre di appoggiarsi a un sostegno che è tanto più dolce quanto più è caro l'amico".
 

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#5
BREVE STORIA DELL'OSPITALITA'

Forme antiche di ospitalità erano già presenti nelle culture primitive e rispondevano ad aspetti di carattere magico-religioso (si credeva che lo straniero possedesse poteri oscuri) oltre che ad un rapporto di reciprocità. La giustificazione religiosa dell’ospitalità nella cultura greca, ad esempio, veniva da un’antica credenza che gli dei errassero sulla terra sotto spoglie umane, distribuendo ricompense o punizioni a chi si fosse dimostrato buono o malvagio. Nell’ospitalità reciproca invece si esprimeva il desiderio di proteggere ed essere protetti dai pericoli e di essere a sua volta ospite e protetto.

Interessante è la trasmissione ereditaria del diritto-dovere di ospitalità in uso sin dall’età omerica: il rapporto di ospitalità si trasmetteva dai due contraenti ai loro figli e alle generazioni successive e, quando i discendenti non si conoscevano più personalmente, il diritto all’ospitalità veniva testimoniato da un segno di riconoscimento: il symbolon in Grecia e la tessera hospitalis a Roma, cioè cocci d’argilla, tavolette, anelli, monete,ecc., divisi in due metà, ognuna delle quali veniva conservata e trasmessa nelle due famiglie contraenti. Quest’usanza sopravvisse fino all’età imperiale romana.

L’ospitalità gratuita comportava spese e responsabilità, così che quasi dappertutto era limitata a due o tre notti, e solo in casi particolari si poteva decidere di prolungarla. L’alloggio e il sostentamento di una corte regale imponeva la necessità di annunciare la visita con un certo anticipo. L’ospitante doveva sempre tenere pronto un "paniere" di vivande (carne, pesce, uova, formaggio, vino o birra, pane o frumento, verdura, spezie, foraggio, ecc. ), stoviglie, materassi e altri oggetti d’uso.

Il cristianesimo ha poi ripreso il concetto di ospitalità sotto la forma d’amore per il prossimo: in ogni ospite povero e bisognoso d’aiuto si deve vedere Cristo e tutti gli uomini sono ospiti su questa terra. Accanto alla forma gratuita e spontanea di ospitalità era frequente una forma coattiva, la pretesa di ricevere vitto e alloggio avanzata da pubblici ufficiali, vescovi e sovrani. Dalle raccolte di leggi del periodo delle invasioni barbariche (V-VII sec) è possibile avere notizie sulle disposizioni concernenti l’ospitalità, in alcuni casi "particolare". Nel rituale di accoglienza dell’ospite assume grande importanza il momento del convivium: l’ospite riceve il posto d’onore, mentre chi entra in casa con intenzioni ostili rifiuta il pasto. Quando l’ospite si reca a letto, viene spogliato o dalla moglie o dalla figlia del padrone di casa, che talvolta resta a sua disposizione per il resto della notte. Il mattino della partenza l’ospite riceve i suoi indumenti, le armi e i cavalli sellati, e dopo aver chiesto licenza e aver ringraziato, prende commiato accompagnato dalla benedizione del padrone di casa e si allontana. A volte il padrone di casa lo scorta per un pezzo del tragitto, in segno d'onore e per motivi di sicurezza.

Nei regni barbarici l'ospitalità era considerata un dovere a cui nessuno poteva sottrarsi, durava da due a tre giorni e comprendeva un alloggio, un posto per il fuoco, acqua, legna da ardere e biada per i cavalli, escludendo però il vitto. Questa forma limitata di ospitalità diventava completa solo nel caso di ospiti particolari, quali gli inviati di popoli stranieri. Ad esempio, nel diritto dei Franchi era vietata l’accoglienza di profanatori di tombe, di donne che si davano agli schiavi, di ladri e di prescritti; qualora si fosse ospitato senza saperlo un ladro e non si avevano almeno sei testimoni per garantire la propria buona fede, l’ospitante veniva trattato come se fosse anche lui un ladro.

I caratteri tipici dell’ospitalità si mantennero in parte nell’età carolingia (VIII-IX sec): ma nelle regioni meridionali dell’impero solo in caso di cattivo tempo o nel periodo invernale si doveva offrire un tetto ai forestieri, che dovevano comunque provvedere da soli al vitto, per evitare abusi del diritto di ospitalità.
Quando il cristianesimo fu elevato a religione di stato, si cominciano a costruire case d’ospiti, gli xenodochia, finanziate da vescovi, monasteri, membri della casa imperiale e ricchi fedeli, e gestite da ecclesiastici, in cui sono ospitati pellegrini e viaggiatori. Sin dall’inizio l’accoglienza è rivolta anche ai poveri, agli orfani ed ai malati delle zone vicine. Nelle città più grandi erano spesso presenti delle case specializzate: orphanotròphia (per gli orfani); ptochotròphia (per i poveri); gerontocòmia (per gli anziani).

Il X secolo vede la rinascita dell’ospitalità ecclesiastica: alcuni ospizi ed ospedali sono fondati lungo le strade che attraversano la Francia meridionale e il nord della Spagna, regioni nelle quali un contributo importante all’ospitalità per pellegrini e altri viaggiatori viene offerto dai monaci benedettini di Cluny e dai canonici regolari agostiniani.

Nel XII secolo si assiste alla diffusione in tutta Europa dell’ordine dei cistercensi che adotta una forma di ospitalità simile a quella dei cluniacensi: tratta i sovrani, gli abati del loro Ordine e le personalità eminenti con maggior riguardo rispetto agli ospiti comuni ed ai poveri, così come gli si riservano i cibi migliori.

La nascita dell’ospitalità a pagamento è legata all’intensificarsi del commercio ed all’espansione dei mercati: si assiste nel XII secolo ad una commercializzazione dell’ospitalità. In occasione delle fiere cittadine e dei mercati annuali, i luoghi di pellegrinaggio risultano sovraffollati così che pellegrini e mercanti devono pernottare in alloggi di emergenza o all’aria aperta. Capita che bisogna pagare una grossa cifra o un pegno per trovare alloggio: mentre pellegrini e mercanti frequentano taverne ed alberghi modesti, i nobili alloggiano in casa di ricchi cittadini. L'ospitalità a pagamento si forma su basi di discriminazione sociale.

L’ospitalità privata assume quindi diverse forme: concessa da un cittadino a un cavaliere; case adibite appositamente a tale funzione e piene di ospiti; un mercante che occasionalmente riceve gli stranieri, facendogli pagare tutto o solo una parte delle prestazioni offerte. Normalmente l’ospite non riceve il vitto dal padrone di casa, lo porta con sé o lo acquista al mercato.

Nel XII secolo gli ospedali per i pellegrini, che prima erano sostenuti dai sovrani, dai nobili e dai monasteri, vengono fondati da laici caritatevoli, i quali poi ne affidano la gestione a ordini religioso-cavallereschi, a canonici agostiniani o a confraternite pie.
La nascita e lo sviluppo degli ordini monastico-militari fu la risposta ad un’esigenza dettata dalle Crociate e dai pellegrinaggi del basso Medioevo per risolvere problemi di ospitalità e di protezione. La prima presenza di ordini monastico-cavallereschi risale all’XI secolo in Palestina, dove già esistevano delle strutture ospitaliere: ricoveri dove si dormiva su materassi di paglia o sul fieno, tutti assieme. Con l’avvento delle Crociate sorgono le consorterie di "confratres", che cominciano ad assistere i viandanti ed a nutrirli, ospitandoli nelle "mansio", "ostelli", "hospity", "hospitale" costruiti sulle strade.

Inizialmente gli ordini monastico-cavallereschi si occupano solo dell’assistenza, poi si espandono lungo le strade d’Europa e della Terrasanta ed assumono il ruolo di difensori dei viaggiatori e dei pellegrini contro infedeli e banditi.
I primi ordini religioso-guerrieri furono i Templari ed i Giovanniti (Ordine di Malta): mentre i primi assicurano protezione militare terrestre e fungono da collettori di merci e valute, i Giovanniti assumono compiti ospedalieri assistenziali. In terre germaniche nel 1127 nacque l’ordine teutonico formato solo da cavalieri tedeschi che voleva liberarsi sia dal papa che dall'impero. A partire dall’XI e XII secolo l’ospitalità gratuita completa o senza vitto lascia quindi il posto all’ospitalità a pagamento, occasionale o professionale.
La scomparsa dell’ospitalità e degli antichi alloggi comunitari e lo sviluppo dell’ospitalità a pagamento avvengono in concomitanza con l’evoluzione del commercio itinerante e carovaniero che si va trasformando in stanziale.

Questa connessione è evidente nelle grandi compagnie italiane: tra il XIII e il XIV secolo i mercanti delle città commerciali dell’Italia centro-settentrionale cominciano a preferire il commercio stanziale tramite corrispondenza, creando delle filiali stabili nelle città più importanti. Con questa nuova organizzazione, la mobilità, che prima faceva confluire mercanti ambulanti in città e fiere, favorendo gli alloggi comunitari e la possibilità di essere accolti in case o quartieri pubblici, creati da sovrani o da autorità comunali con il duplice scopo di incentivare e controllare il commercio, cambia il tipo di viaggiatori e sposta l'ospitalità verso l'alloggio a pagamento. I viaggi dei più abbienti si concentrano nei centri finanziari e commerciali, le città, e si assiste all'insediamento dell'amministrazione reale, prima itinerante, adesso in forma stabile in una città, visitata con frequenza dal sovrano stesso.

Questo processo segna la nascita in Europa delle città capitali e di residenza reale o imperiale, e fu presto imitato da principi e signori, che collocano i loro centri di potere in città dotate di un castello o di una residenza fortificata. Fino al basso Medioevo era consuetudine che i sovrani e la corte più ristretta alloggiassero fra le mura di residenze, castelli, sedi vescovili e monasteri, mentre il resto del seguito (esercito vero e proprio e grandi signori ecclesiastici e laici) si accampasse nei dintorni. Ma il seguito ristretto dei sovrani e dei grandi signori costituiva un peso oneroso. La mancanza di spazio interno in quei luoghi spinse i grandi signori ecclesiastici e laici a costruire i propri quartieri, corti e ostelli nelle località in cui i sovrani erano soliti sostare o che costituivano i centri del loro sistema itinerante, le cosiddette sedes regni.

Quanto più le città, come spazio chiuso, si addossano il peso dell’ospitalità dovuta ai sovrani, tanto più devono fare i conti con i suoi effetti collaterali che, nella trasformazione da centri sotto dominio signorile a zone di immunità speciale per i traffici e commerci, vengono percepiti come conseguenza di un obbligo gravoso e imposto dall’esterno. E' così che la lotta contro l’ospitalità diventa una caratteristica dello sviluppo delle città europee nell’alto Medioevo. Il commercio prende possesso della merce umana in movimento.

Tra il XII e il XIV secolo si verifica lo spostamento dell’ospitalità da regge, sedi vescovili, monasteri e corti aristocratiche prima verso le case di cittadini eminenti, poi verso ospitanti che già esigevano un compenso e infine verso locande vere e proprie. Sparisce quasi completamente il concetto di ospitalità pubblica e privata, rimangono gli ospitali per poveri e pellegrini che decadranno nei secoli seguenti.

BIBLIOGRAFIA
H. C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo, Bari Laterza 1997
 

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#7
Assolutamente, condivido. C'è sicuramente una categoria di oste affarista, che ha abbracciato l'ospitalità per puro interesse economico/affarista. Ma penso anche che ci sia un buona fetta che ha sane radici e da cui anche oggi - con le difficoltà del mercato - nascono o prosperano belle attività nell'ambito dell'ospitalità.
 

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#8
cito, ad esempio, dal pensiero di Michil Costa, albergatore, invitato da FormazioneTurismo lo scorso anno in BIT per parlare di “Un pieno troppo vuoto. Come pensiamo di dare un pieno di ospitalità verso l’ospite, se siamo vuoti di accoglienza verso l’altro?”.

Lui scrive dell'ospitalità......

L’Ospitalità
Occuparsi dell’altro è piacere, non un effetto collaterale. E dobbiamo metterci l’amore che è vita vera, cioè verità. Dobbiamo essere radicali, cioè andare alla radix, alla radice delle cose. Fare l’albergatore non è solo un giro dentro l’ospitalità, è un giro dentro la radice dell’umanità. Perché l’uomo (e tantomeno l’albergatore) non è assoluto, ma è in comunione, in relazione.

Fare autenticamente l’albergatore significa non fermarsi davanti alla continua ricerca del giusto. E dov’è il giusto, chi lo stabilisce?

Amore significa non smettere di cercare, compensare in continuazione, adattare le azioni alla situazione, evitare scorciatoie e tenere sempre bene a mente la strada scelta, l’obiettivo da raggiungere: fare in modo che l’ospite torni da noi, perché sa che l’abbiamo amato. I clienti vengono e non tornano; sono gli ospiti a tornare e ogni albergatore ha l’ospite che si merita.
 
#10
Esiste una sottile linea di confine che distingue l'Ospitalità e la Diffidenza.
Potresti affrettarti a ricevere il "migrante" oppure farti da parte senza prendere una chiara posizione.
Comunque sia la sosta o il pernottamento sono ben accolti o rifiutati, sta all'Abramo di turno rendersi partecipe dello straordinario evento dell'Ospitalità!
Dare generosamente senza pensare al ritorno...
 
#11
La mia vacanza consiste nel far cose divergenti/divertenti dal solito (i 10 mesi di domicilio in Amiata).
Pertanto, nei 2 mesi a disposizione, alle camminate oltre i 2000 della mia montuosa terra (j'Abruzzu), preferisco aggiungere distensive occupazioni: quali condurre in porto lavori nell'orto/giardino e soprattutto frequentare i numerosi symposia tra compaesani.
Oltremodo una quartina di giorni li ho fatti in Montefeltro a due passi dal confine con San Marino.
Loro, i sammarinesi, da buoni "ospiti" ci tengono ad usare quel termine molto...separatista! :eek:
 
#12
Seguirò attentamente il tuo consiglio e come vicendevole regalo ferragostano ti suggerisco un vino centrale in due varianti essenziali:
agalychnis-callidryas.jpg
- vegetariana, cioè formaggi stagionati o scamorza appassita --> Ylice 2018 - Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Poderi Mattioli
- carnivora, cioè porchetta o arrosticini di pecora --> Inferi 2013 - Montepulciano d'Abruzzo - Marramiero

A presto per approfondimenti sull'Ospitalità come gesto benevolente.
Raffaello
 
#13
Egregio Liside, sebbene il Redi si riferisse al vino Nobile di Montepulciano, composto al 70% di Sangiovese, mi associo alla sua dichiarata regalità e colgo al volo l'assist enologico regalandoti una chicca sul nostro vino rosso rubino, il Montepulciano d'Abruzzo.
Sic et simpliciter, esso ebbe origine nelle vallate di Torre de' Passeri (PE), ma il vitigno era presente sin dal 1792 in agro peligno (Sulmona per intenderci, la città natale di Ovidio).

Oggi invece andrò sui monti del Cicolano a pochi km da Aquila, mi piace chiamarla così come risulta nel diploma di fondazione del 1254.

buon Ferro d'Agosto
 
#14
Alcuni giorni fa mi trovavo in quel palazzo che fece di Federico di Montefeltro il più noto duca italiano del Quattrocento.
Egli aveva naso...e si vede!
sala-relax.jpg
Purtroppo per lui, ci vedeva solo da un occhio, quello sinistro e ciononostante fu lungimirante (pare un ossimoro).
Ebbe modo di farsi conoscere per magnanimità, generosità e ospitalità.
La sua dimora ducale è permeata di tutto ciò che il Rinascimento seppe dare alla nostra Storia, che non è storiella, né affabulazione.
La sua città fu Ideale in tutti i sensi e chi oggi ritiene imprescindibile l'ospitalità quale elemento di decoro, non può che attingere all'insegnamento di Federico e dei suoi...cortegiani.
 
#15
egregio Liside, mia mamma Maria è di Bagnoli Irpino (AV), secondo Lei da quelle parti un tempo facevano un bianco che faceva strizzare gli occhi anche agli astemi.
Prendo per buona la notizia e mi tuffo nella mia biblioteca nel grigiore della piovosa sera aquilana.
Che succede? Una campana di lontano rintocca le Otto (ok, le 20) e torno tra i ricordi della mia adolescenza quando mi esercitavo a fare il campanaro.
Tutto durò una manciata di settimane, ma in quel periodo ebbi modo di conoscere la tecnica dello scampanamento. Oggi invece mi viene in mente che tra i Feudi gira un bianco con tale nome: CAMPANARO (un pochito Greco e Fiano), dicono che sia estremamente speciale col coniglio alla cacciatora.
Fate vobis...;)
 
#16
e bravo Liside!
Scorrendo la scheda tecnica del Furore salgono in cattedra i Vitigni di riferimento: falanghina 60% e biancolella 40%
Addirittura tra gli abbinamenti si consigliano anche piatti vegetariani, mi piace 'sta cosa.

Non sapevo che Furore fosse una località ad una decina di km da Amalfi, ero rimasto al notevole testo di John Steinbeck.
Mi dirai: ma che c'entra il romanzo Furore con l'argomento? Risposta da topo di biblioteca: il libro di Steinbeck, imperniato sulla Grande Depressione negli Stati Uniti degli anni Trenta, uscì con il titolo originale The Grapes of Wrath...

Prosit
 
#17
[...]Le barche di notte pescano acciughe e seppie e le loro luci punteggiano il mare[...], le Lampare!
Peccato che in fondo all'articolo sia richiamata una foto d'epoca non presente, vabbè.
Grazie Liside
 
#18
Vendemmia (dal latino vin-dèmia - togliere il vino, levar via).
Anticamente tale operazione era rivolta a tutto ciò che per qualità risultava fuori dal comune, ergo levar via dalla normalità.
Certo che oggi dover scartare la parte mediocre di una raccolta d'uva non appartiene di sicuro al "fare masserizia" e quindi ci preme far vendemmia anche con le parti meno nobili, ma se non arde luglio e agosto, troppo aspro sarà il mosto.

Anni fa, girando per cantine nei pressi del territorio di Grumello del Monte (BG), trovai un Castello le cui tenute si spandevano per le sinuose colline della Valcalepio.
Il Castello in questione fu possedimento di varie casate lombardo-venete. Entrai nella zona riservata alla vendita; data l'ora presta ebbi modo di fare due chiacchiere con un attore della vendemmia allora in corso. Egli mi catapultò in un viaggio enologico che non scorderò per la cura nei dettagli, difatti, nel cuore del Castello, una signora di Milano (proprietaria della tenuta) si mostrò così ospitale da propormi la narrazione della sua esperienza che, per contraccambiare, le promisi in dono una lettura ad Alta Voce di una crestomazìa del Vendemmiatore di Luigi Tansillo, un compaesano di Orazio.
La serata si svolse in un locale della zona cantina ed ebbe luogo un mesetto dopo il primo incontro coinvolgendo almeno una trentina di persone, ognuna dedita a un singolare aspetto della Vendemmia.

grumello.jpg

Quando l'ospitalità è innata, non vi sono freni alla gratitudine!
 
#19
Sono in corso in Puglia, la mia regione di origine, da alcuni anni rievocazioni del "rito"della vendemmia, inteso come momento aggregante e di convivialità ala fine della giornata quando tutti insieme, braccianti e padroni si riuniscono per mangiare lo stesso cibo.
Dette rievocazioni sono oggi oggetto di turismo.

https://www.foodandsoon.com/in-pugl...la-vendemmia-e-i-suoi-riti-antichi-e-moderni/

In terra dauna lo stesso discorso vale anche per la mietitura.
In una masseria nei pressi di Cerignola, diversi lustri fa, passai un ferragosto tra i più incantevoli della mia esistenza ultra-mezzo-secolare (mi sono anagraficamente sbilanciato) e devo dire che tra canti, STORNELLI (e qui mi sono localmente sbilanciato) pomi d'oro e vino rosso siam tornati nazzi nazzi (paonazzi).
Ho dato un'occhiata veloce al sito del vignaiolo Quarta: splendida iniziativa quella de Lu Capucanali.

E bravo Liside, colpisci sempre di fioretto!
 
#20
Nel comune più a EST d'Italia trascorremmo una settimana da favola.
Ci si spostava dalla residenza di Santa Cesarea verso il mare percorrendo file di olivi, poscia si sostava tra gli sfavillanti scogli e spesso la sera si raggiungeva Otranto vecchia (giunti qui si procedeva rigorosamente a piedi nudi).
Ricordo le impareggiabili cozze di Castro accompagnate da quel rosato salentino (vitigno Negroamaro), quando Carmelo Pompilio Realino Antonio Bene era ancora in vita, alé!
 
#21
Provo a ribattere a Liside con un contributo storico: la rotta ferroviaria Leicester-Loughborough...


Grazie all’inventiva del tipografo Thomas Cook il 5 luglio del 1841 un viaggio organizzato al fine di far svagare gli operai sfruttati da un’industria laniera di Leicester, aprì le porte a quello che oggi chiamiamo turismo di massa. Il viaggio fu lungo appena 12 miglia per mezzo di un treno carico di circa 540 persone e unì la città di Leicester a Loughborough alla tariffa di uno scellino, comprensiva del pasto giornaliero consistente in eggs and bacon e fish and chips e di uno spettacolo di intrattenimento.

L'iniziativa di Cook, con l'intento di distogliere individui dal consumo quotidiano di gin, permise ad una fetta di popolazione meno abbiente di poter vivere un'esperienza esemplare.
 
#23
Nella versione tradotta da Pavese ho trovato questa frase: Non c'è bisogno di troppo cervello per essere un bravo ragazzo. Qualche volta mi pare anzi che il cervello faccia l'effetto opposto. Prendete uno che sia davvero in gamba, è difficile che sia una brava persona.
Altro motivo di riflessione;)
 
#24
un salto indietro nei secoli di mezzo:

Il caravanserraglio fu luogo di sosta e scambi commerciali per le carovane che trasportavano merci e uomini, una sorta di motel di servizio lungo le strade del Medioevo.
A Fes, la terza città del Marocco per popolazione e sede della più antica università del mondo, negli ultimi anni è stato portato a compimento (dallo studio Tarik Oualalou/Linna Choi) il restauro di 4 caravanserragli, mirabolanti esempi dell’architettura degli addetti al commercio.

Essi si presentavano come edifici chiusi esternamente con una corte centrale e un pozzo attorno ai quali un tempo si raccoglievano le camere e le eventuali botteghe e si organizzavano le aree destinate allo stallo degli animali.

pel 9 dicembre.JPG
 
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