Proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno: dopo l’emergenza coronavirus, gli italiani con ogni probabilità (ri)scopriranno l’Italia. Torneranno sulle spiagge del Bel Paese, torneranno a visitare città d’arte e – forse spinti dal timore delle città caotiche e affollate – potrebbero visitare l’Italia minore, a caccia di esperienze di nicchia.
Questo scenario è certamente possibile. Ma sarà comunque dura, almeno stando alle stime provenienti da più parti. Le previsioni fanno tremare i polsi: se si dovesse ripartire dopo il 15 maggio, l’hotellerie potrebbe perdere fino a 150 milioni di presenze per l’anno 2020.
Scendendo nel dettaglio: se davvero di ripartisse dopo il 13 aprile (ne dubito fortemente) tra maggio e dicembre si andrebbero a perdere poco meno di 50 milioni di presenze.
Al 30 aprile si andrebbe oltre i 55 milioni. Mentre dal 15 maggio di arriverebbe a un meno 65milioni.
Ne soffrirebbero tutti: dalle località balneari alle città d’arte, dal business al leisure, dal settore wellness a quello degli eventi e congressi. Ogni segmento dell’industria turistica-alberghiera ne risentirà.
Gli analisti prendono in considerazione diversi fattori per gli studi di settore.
Certamente il mercato domestico sarà il primo a ripartire: da un lato avranno un peso rilevante le limitazioni degli spostamenti, dall’altro c’è la percezione del rischio associata al viaggio all’estero.
Altro aspetto da non sottovalutare: la riduzione dei giorni di ferie. In questo periodo di stop forzato diversi dipendenti - loro malgrado - hanno dovuto sacrificare qualche giorno. E in ogni caso al rientro sarà chiesta una presenza maggiore in azienda (o comunque in termini di ore di lavoro), proprio per recuperare terreno. Ammesso che non finiscano in cassa integrazione. O, peggio, licenziati.
Ci sarà anche minore capacità di spesa: le entrate si sono drasticamente ridotte.
Si prenda il popolo delle partite IVA: i 600 euro stanziati dal Governo (per pochi, non per tutti…) basteranno secondo voi a compensare i mancati introiti? La risposta è lapalissiana.
Tutto questo per dire che non bisogna mai perdere di vista il contesto generale: la crisi colpirà tutti i segmenti dell’economia, non solo quello turistico-alberghiero.
Tornando agli studi sull’hotellerie, si parla anche di una contrazione del booking window e di un indebolimento del sistema di intermediazione.
Insomma: le previsioni non sono confortanti. Ma è altrettanto vero che piangersi addosso non produce alcun frutto. Meglio rimboccarsi le maniche e lavorare. Solo con il lavoro si riuscirà a mettere questa brutta parentesi alle spalle.
Né va taciuta un’altra delle ipotesi circolata in questi giorni: e se il virus dovesse ripresentarsi anche dopo la fine del lockdown o nella stagione autunnale?
L’augurio è che ciò non accada, naturalmente. I dati sui cali del contagio (ma soprattutto gli studi sui vaccini) fanno ben sperare. Certamente, però, la paura sarà nostra compagna di viaggio per diversi mesi (tanto per restare ottimisti). Io la penso così, e voi?
Questo scenario è certamente possibile. Ma sarà comunque dura, almeno stando alle stime provenienti da più parti. Le previsioni fanno tremare i polsi: se si dovesse ripartire dopo il 15 maggio, l’hotellerie potrebbe perdere fino a 150 milioni di presenze per l’anno 2020.
Scendendo nel dettaglio: se davvero di ripartisse dopo il 13 aprile (ne dubito fortemente) tra maggio e dicembre si andrebbero a perdere poco meno di 50 milioni di presenze.
Al 30 aprile si andrebbe oltre i 55 milioni. Mentre dal 15 maggio di arriverebbe a un meno 65milioni.
Ne soffrirebbero tutti: dalle località balneari alle città d’arte, dal business al leisure, dal settore wellness a quello degli eventi e congressi. Ogni segmento dell’industria turistica-alberghiera ne risentirà.
Gli analisti prendono in considerazione diversi fattori per gli studi di settore.
Certamente il mercato domestico sarà il primo a ripartire: da un lato avranno un peso rilevante le limitazioni degli spostamenti, dall’altro c’è la percezione del rischio associata al viaggio all’estero.
Altro aspetto da non sottovalutare: la riduzione dei giorni di ferie. In questo periodo di stop forzato diversi dipendenti - loro malgrado - hanno dovuto sacrificare qualche giorno. E in ogni caso al rientro sarà chiesta una presenza maggiore in azienda (o comunque in termini di ore di lavoro), proprio per recuperare terreno. Ammesso che non finiscano in cassa integrazione. O, peggio, licenziati.
Ci sarà anche minore capacità di spesa: le entrate si sono drasticamente ridotte.
Si prenda il popolo delle partite IVA: i 600 euro stanziati dal Governo (per pochi, non per tutti…) basteranno secondo voi a compensare i mancati introiti? La risposta è lapalissiana.
Tutto questo per dire che non bisogna mai perdere di vista il contesto generale: la crisi colpirà tutti i segmenti dell’economia, non solo quello turistico-alberghiero.
Tornando agli studi sull’hotellerie, si parla anche di una contrazione del booking window e di un indebolimento del sistema di intermediazione.
Insomma: le previsioni non sono confortanti. Ma è altrettanto vero che piangersi addosso non produce alcun frutto. Meglio rimboccarsi le maniche e lavorare. Solo con il lavoro si riuscirà a mettere questa brutta parentesi alle spalle.
Né va taciuta un’altra delle ipotesi circolata in questi giorni: e se il virus dovesse ripresentarsi anche dopo la fine del lockdown o nella stagione autunnale?
L’augurio è che ciò non accada, naturalmente. I dati sui cali del contagio (ma soprattutto gli studi sui vaccini) fanno ben sperare. Certamente, però, la paura sarà nostra compagna di viaggio per diversi mesi (tanto per restare ottimisti). Io la penso così, e voi?