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Fouad: da guida a imprenditore con ottomila dipendenti

#1
Vi riporto una case-history di successo, occhio alle parole finali dell'intervista che ho evidenziato in grassetto.<br />
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Da http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Fouad-l-acchiappaturisti/2028439/6<br />
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Fouad, l’acchiappaturisti: da guida a imprenditore con ottomila dipendenti<br />
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La storia del quarantottenne Fouad Hassoun è davvero straordinaria, così simile a quelle che negli anni Cinquanta facevano la fortuna di certi periodici americani. Un egiziano che nel giro di 25 anni si trasforma da accompagnatore turistico nel primo e più importante imprenditore mediorientale di turismo con un fatturato di 280 milioni non si incontra tutti i giorni.<br />
E invece lui vive e lavora a Pistoia praticamente sconosciuto ai suoi concittadini. Sì, perché come se non bastasse, la sua avventura si è arricchita di un altro sorprendente episodio quando nel 2004 ha deciso di stabilirsi in Italia, scegliendo la città toscana come sede principale della “Phone and Go” (“Telefona e vai”), con cui ha cominciato l’assalto al business europeo dei viaggi.<br />
Nell’Italia in cui tutti parlano di crisi e contrazione pressoché irreversibile dell’economia, in 4 anni ha decuplicato il fatturato (dai 5 milioni di euro iniziali agli 80 milioni stimati per il 2008). E solo dopo il successo di Pistoia, adesso aprirà una nuova sede (secondaria) a Londra, che allargherà nel mondo anglosassone il suo impero che in Egitto conta 16 navi da crociera, 140 pullman, 4 alberghi, un aereo charter, un ristorante di lusso, agenzie turistiche nei più importanti centri. E 8mila dipendenti.<br />
Chiunque si sarebbe accontentato ed invece Hassoun, non pago di questo, decide di trasferirsi nella defilata Pistoia, investe 12 milioni di euro, assume 53 persone e si inventa quello che sembra l’uovo di Colombo (la possibilità di prenotare le vacanze attraverso il telefono), e qui da noi sta per ripetere la straordinaria ascesa egiziana. Per sfizio o per svago apre anche un ristorante a Firenze, il Rossini, che in breve tempo ottiene una stella Michelin.<br />
Hassoun, lei era ricco di famiglia?<br />
«No. Mio padre e mia madre si conobbero al Cairo, ma entrambi i loro genitori erano d’origine libanese. Il nonno paterno aveva fatto l’attore. Il nonno materno invece era giornalista professionista. Buona borghesia, ma tutt’altro che danarosa. Dall’età di 16 anni mi sono mantenuto da solo agli studi. Prima suonando la batteria in un complesso rock e poi dai 18 anni come accompagnatore turistico di gruppi prevalentemente americani. Per mia fortuna avevo studiato in un liceo religioso francese e parlavo bene le lingue. Il traguardo principale della mia vita continuava ad essere la laurea in economia e commercio che conseguii a 22 anni. Dopodiché mi assunsero negli uffici della compagnia turistica per la quale avevo lavorato all’esterno».<br />
E fin qui la sua vita assomiglia a quella di tanta gente. Quando ha innestato il turbo?<br />
«Abbastanza presto. Nel giro di un paio d’anni. Nel frattempo avevo conosciuto Michela Chiti, mia moglie. Pistoiese. Il mio primo contatto con la Toscana. Per la verità non dovevo neppure incontrarla. Lei lavorava come guida per Turisanda e ad accoglierla doveva andare un altro. Il destino esiste. Ci incontrammo, ci sposammo, e sempre in quel periodo misi su con mio fratello ed un altro socio un’agenzia di incoming, quelle addette al ricevimento dei viaggiatori stranieri. Avevamo una scrivania in tre. Il primo tour operator che ci accordò fiducia fu anch’esso toscano, l’Album Viaggi di Sesto Fiorentino, e del primo cliente ricordo ancora il cognome: Guicciardini. Tanto intensi divennero poi gli scambi professionali da spingermi già allora a vivere a lungo in Toscana, tanto da ottenere nel 1990 la cittadinanza italiana. Più tardi cominciammo a lavorare anche con francesi e spagnoli. Andò subito bene. La svolta però arrivò con la fiducia di Francorosso che dirottò tutti i suoi clienti su di noi e allora osammo far progettare le prime tre navi da crociera sul Nilo. Ne riuscimmo a pagare due, per la terza ci mancarono i fondi, e la vendemmo praticamente sulla carta. Quell’anno, l’87, fu eccezionale. I turisti sembravano moltiplicarsi. Insomma nel giro di 5 anni, da quindicesimi che eravamo, diventammo i numero due».<br />
Qual è il segreto di un successo?<br />
«La serietà, la costanza e la fortuna. Nel caso di Francorosso giocarono tutti e tre i fattori. Mia moglie Michela che inviava telex, allora non esistevano le e-mail, a tutti i tour operator europei, era bravissima nell’evidenziare le nostre qualità. Proprio in quel periodo la Francorosso voleva cambiare corrispondente, rimasero ben impressionati. Un’avventura imprenditoriale non è però sempre rose e fiori. Abbiamo avuto anche momenti difficili. La prima battuta d’arresto arrivò nel 1992 quando in Egitto si verificarono gravi attentati terroristici, con numerose vittime tra i turisti. Dovemmo imparare a gestire le situazioni di crisi. Dal Cairo e dalla Valle dei Re deviammo il turismo verso il Mar Rosso. Prima affittammo e poi costruimmo alberghi a Sharm el Sheikh, Marsa Alam, Hurghada....».<br />
Ma davvero avete ottomila dipendenti?<br />
«Sì, è addirittura fisiologico. Basti considerare che il nuovo hotel di Hurghada ha 1120 camere e la buona conduzione alberghiera prevede la presenza di un addetto per camera per un totale di 1200 lavoratori. La nostra azienda in Egitto nacque col nome di Flashtour, ma sviluppandoci abbiamo creato tre branche diverse: la Flash international per gli alberghi e le navi, la Flash transport per i pullmann e la Flash investiment per gli affari. Una struttura gigantesca però comportava rischi notevoli se diminuiva l’ingente flusso proveniente dai partners europei. Ce ne rendemmo conto quando nel 2004 un nostro charter precipitò non lontano da Sharm. Ci vollero alcuni mesi prima che l’inchiesta sul tragico evento accertasse la nostra totale e completa estraneità riguardo al tragico evento. Durante quel periodo l’attività quasi si bloccò e considerato che noi serviamo e assistiamo 750mila clienti l’anno, il 10 per cento di quanti arrivano in Egitto, il danno fu incalcolabile. Per questo decidemmo di trovare da soli in Europa i nostri clienti e Pistoia, che è la città di mia moglie, mi è sembrata la sede più adatta per iniziare. Phone and go svolge la sua attività via internet e telefono e non ha bisogno di una grande sede di rappresentanza».<br />
E’ andata subito bene?<br />
«Sì, anche se i primi due anni sono stati abbastanza difficili e stranamente ho più clienti in Veneto, Lombardia e Piemonte che in Toscana. Ma ci stiamo sviluppando velocemente grazie al nostro rapporto qualità-prezzo e adesso abbiamo allargato il giro d’orizzonte. Oltre all’Egitto offriamo Zanzibar, Kenya, Seychelles, Mauritius, Maldive, Messico, Grecia, Turchia, Santo Domingo a prezzi altamente competitivi grazie al nostro abbattimento di costi. I nostri 53 collaboratori a Pistoia sono davvero eccezionali, scelti uno per uno e con la conoscenza specifica di ciò che offrono perché sono inviate a soggiornare nelle nostre strutture e così le descrivono alla perfezione».<br />
Hassoun, viene spontaneo farle una domanda e chiedere qualche consiglio: <strong>perché in Italia non sappiamo trasformare in oro il nostro impareggiabile patrimonio artistico e paesaggistico? Lei che farebbe?”<br />
«I prezzi. Sono troppo alti, dipende anche dai mille lacci e lacciuoli. Dalla burocrazia. E poi dall’incapacità di fare gruppo, di saper creare un tutt’uno tra governo, enti locali e imprenditori per vendere al meglio il prodotto Italia».</strong>
 
F

fmongiello

Guest
#2
Il tuo post era del 2009, ora siamo alle porte del 2016. Peccato che proprio oggi circola la news che Phone&Go chiude i battenti. E' stata presentata istanza di fallimento al Tribunale di Pistoia che ha aperto la procedura concorsuale.

La dichiarazione lapidaria di Fouad Hassoun è stata “Oggi non ci sono più i presupposti per proseguire l’attività. È un modello di business finito. Basta con il tour operating”.

 

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