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Riflessioni su occupazione e disoccupazione, sviluppo ed economia del futuro

Enrico Moretti può non essere conosciuto al grande pubblico spesso impegnato a seguire ben altri modelli ed esempi.  In realta vi è da essere orgogliosi di italiani come Enrico. A prescindere dal fatto che stiamo parlando di un docente di materie economiche presso l’Università di Berkeley in California e che le sue ricerche gli hanno fatto vincere numerosi premi e riconoscimenti internazionali, Enrico Moretti è anche un apprezzato editorialista del “New York Times ” e del “Wall Street Journal“.

Per completare il profilo dovremmo aggiungere che la sua opera “La nuova geografia del lavoro” è stata definita uno dei migliori libri di economia mai scritti.

Ma al di là del successo che un trattato del genere merita di avere, addirittura Obama ha chiesto lumi su alcune sue intuizioni sull’analisi del lavoro in America.

Un Italiano che negli Usa è famoso quasi come una star e che contribuisce ad abbattere la disoccupazione nella prima potenza mondiale, dove va ricordato, la disoccupazione è a livelli poco più che fisiologici.

Enrico è figlio invece di un Paese dove la disoccupazione sta aumentando a livelli non più sostenibili.

E’ evidente che qualcosa non torna: Enrico Moretti, figlio di un Paese dove la disoccupazione è il problema principale, può dare consigli al Paese più ricco del mondo dove la disoccupazione non costituisce un problema così radicato come da noi.

In Italia continuiamo a “parlarci addosso” e lasciamo che i “figli migliori ” vadano a contribuire allo sviluppo di altre nazioni.

Ho letto l’opera di Enrico Moretti “La nuova geografia del lavoro” ed. Mondadori ed ho trovato un saggio che tutti coloro hanno un minimo di responsabilità dovrebbero leggere (e comprendere).

Il lavoro è strettamente connesso ai livelli di istruzione. Ma non solo. E’ fondamentale la capacità di un territorio di attrarre le realtà imprenditoriali migliori. Queste realtà imprenditoriali (spesso caratterizzate da forti contenuti innovativi e tecnologici) sono ” attrattori ” di forti competenze professionali.

Perchè aziende apparentemente concorrenti fra di loro trovano tutte sede nella Silicon Valley? Perchè Seattle dall’insediamento di Microsoft è stata attrattiva per innumerevoli start up? Expedia (tanto per rimanere nel nostro settore) compresa?

La risposta viene individuata nella capacità del territorio di essere “friendly” per le iniziative di settori connessi, similari ed attigui.

Legali specializzati, infrastrutture già pronte, fornitori collaudati costituiscono l’infrastruttura del territorio.

Ma cosa avviene in queste città “distretto”? Che accanto alla crescita di lavori “traded” come vengono definiti da Enrico Moretti nel suo saggio (lavori cioè soggetti a concorrenza internazionale e con necessità di continua innovazione) crescono anche lavori “non traded ” , ovvero non soggetti ai processi della globalizzazione: camerieri, barbieri, sarti, baby sitters, agenti immobiliari, idraulici etc.

Quindi secondo la teoria di Moretti per ogni posto di lavoro creato ad alto valore aggiunto se ne creano altri in altri settori (l’indotto).

Lavorare sulle eccellenze pertanto è trainante per il benessere delle nazioni.

Sembrano apparentemente teorie neo liberiste di stampo Smithiano, in realtà nel trattato di Moretti vi è forte la dinamica “sociale” e del benessere collettivo.

Non nascondo che il saggio mi ha entusiasmato, sintetizza idee liberiste ad approcci keynesiani, come forse solo il genio italico riesce a fare.

L’importanza dei distretti, anche se nell’opera non vengono chiamati con questo nome è fondamentale.

Ho pensato nel corso della lettura al nostro Paese, quali e quante politiche di distretto avrebbe la possibilità di fare.

Il turismo è per il nostro Paese una risorsa così importante che neanche può essere circoscritta ad un “distretto”, tutta l’Italia ha vocazione turistica e la fortuna del territorio ne agevolerebbe lo sviluppo ed il benessere sociale.

Vi sarebbe necessità di ridisegnare la geografia turistica italiana: il distretto delle città d’arte, il distretto dello shopping, il distretto del mare, il distretto della montagna, il distretto dei piccoli borghi, il distretto del vino, il distretto dell’artigianato…

Ogni distretto dovrebbe essere, attrattivo per le aziende e le realtà migliori, perchè l’insediamento di queste realtà distribuirebbe il benessere all’ambiente circostante sotto varie forme.

Lo Stato dovrebbe smetterla di sprecare risorse nell’assistenzialismo e dovrebbe cominciare ad impostare politiche di investimento finalizzate al bene comune. Quante persone preferiscono accedere all’istituto della disoccupazione anziché inserirsi in altri contesti lavorativi? Non tutti, d’accordo, ma questo fenomeno è presente.  Il turismo non ne è immune: alcuni hotels con potenzialità di apertura annuale hanno difficoltà nel reperire forza lavoro perché si preferiscono contratti stagionali ed avere accesso successivamente a questo tipo di ammortizzatori sociali.

Quanti percettori di ammortizzatori sociali alimentano il lavoro nero? Di questo tutti ne sono colpevoli gli imprenditori quanto la forza lavoro; è evidente che in questa speciale classifica la classe politica merita il podio.

Dovremmo, cambiare prospettiva, passare dalla tutela dei diritti alla tutela del lavoro.  E in un Paese che vanta il triste primato della disoccupazione giovanile non mi sembra una opzione quanto, piuttosto, una necessità.

Il saggio di Moretti ci fa riflettere su un aspetto: per combattere la disoccupazione ci vogliono sforzi congiunti e soprattutto – ed è forse questo l’aspetto innovativo dell’opera – vi è necessità di uscire dalle logiche capitalistiche che hanno contraddistinto le stagioni passate.

C’è bisogno di liberismo economico per far emergere le forze migliori nei vari campi dell’imprenditoria, delle arti, delle scienze, c’e’ bisogno di interventi statali (che secondo i vecchi schemi sarebbero in antitesi con il liberismo) nell’ambito dell’ istruzione, della formazione, della creazione di opportunità.

Quello che non può fare la famiglia ed il nucleo sociale primario deve essere fatto quindi dal territorio, che come modello aggregativo deve permettere di valorizzare le risorse migliori e permettere una qualità della vita e di uso del territorio che ne permetta lo sviluppo dell’economia.

Per impostare le leve dello sviluppo occupazionale vi è necessità di agevolazione nei processi di mobilità territoriale. Anche nel nostro Paese – dinamica presente anche negli Stati Uniti – ci sono regioni che hanno difficoltà nel reperire forza lavoro ed altre dove la disoccupazione è la norma.

Cosa impedisce a questa domanda / offerta di incontrarsi? L’ impossibilità o l’anti economicità degli spostamenti. Se sono un cittadino calabrese e la mia offerta di lavoro ha domanda in Lombardia, la necessità di un alloggio è uno dei motivi che rendono antieconomico il mio spostamento.

Alcuni limiti della nostra mentalità fanno il resto.

Pertanto la pianificazione di programmi di housing sociale che favoriscono la mobilità se da una parte mettono in moto il settore real estate – non a torto definito uno dei motori propulsivi dell’economia per la sua capacità di creare indotto – dall’altro favorisce la mobilità territoriale della forza lavoro.

Accanto a questo, impostare nelle regioni più svantaggiate programmi di attrazione per le migliori forze imprenditoriali metterebbe in funzione il motore dello sviluppo.

Secondo Keynes quando in una economia c’è un vistoso calo dei consumi ed investimenti privati, lo Stato deve sostenere questi elementi del PIL.  Personalmente sono d’accordo e la ricetta Keynesiana potrebbe essere la soluzione a questo gravoso problema.

Lo Stato dovrebbe dare il via a questo programma, attribuendo la spesa alla voce “investimenti”  – perché questo in realtà sono  – e dare così il via a quel meccanismo che potrebbe farci uscire dalla drammatica situazione in cui versiamo.

Ne è in gioco il nostro futuro.

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